Ritorna Maigret

Gérard Depardieu nel film Maigret 

Sono molti gli italiani di una certa età cresciuti in compagnia di un personaggio che è considerato un’icona del cinema, il Commissario Maigret, interpretato dal grande Gino Cervi, nella serie televisiva in 35 puntate di Mario Landi, andata in onda dal 1964 al 1972. 

Gino Cervi interpreta Maigret

È diventato noto, così, a tutti questo commissario della polizia francese sui generis, non troppo loquace, un po’ scontroso, molto riflessivo, dalla corporatura massiccia, per nulla scattante nei movimenti e, segno particolare e inconfondibile della sua identità, un tutt’uno con la sua inseparabile pipa.

Oggi, dopo 50 anni, riappare inaspettatamente nelle sale cinematografiche la sua immortale figura, nel film di Patrice Leconte Maigret, che mette in scena la storia narrata dallo scrittore francese Georges Simenon (1903-1989) nel romanzo “Maigret e la giovane morta” del 1954.


Chi lo incontra per la prima volta può rimanere sorpreso dal suo comportamento. I film polizieschi infatti ci hanno abituato a tenere il fiato sospeso, perché sono film d’azione, thriller, le cui vicende si svolgono in un clima di tensione e di suspense. 

Tutta un’altra atmosfera rispetto a quella in cui si muove Jules Maigret, dove prevale la prospettiva psicologica, e dunque l’osservazione, la riflessione, il silenzio, che consentono al Commissario di scandagliare e decifrare con cura ogni dettaglio del caso da risolvere.

Niente di strano, in realtà, perché è proprio così che l’ha ideato e costruito il suo autore sin dal 1929, anno della sua prima apparizione in una serie di novelle scritte per la rivista  Detective, a cui sono seguiti, in un arco temporale di circa 72 anni, ben 75 romanzi e 28 racconti della sua ricca produzione letteraria.

Georges Simenon

Simenon, infatti, è uno degli scrittori del XX secolo più prolifici al mondo, dotato di una eccezionale velocità e scioltezza nella scrittura, che lo porta a produrre anche 80 pagine al giorno e a comporre nel corso della sua vita centinaia di opere.

Il personaggio che lo ha reso famoso, oggi ormai quasi centenario, è appunto Maigret, protagonista del nuovo film di Leconte, con Gerard Depardieu, da un paio di settimane in Italia sui grandi schermi.

Patrice Leconte

La storia rappresentata ruota attorno alla misteriosa morte di una giovanissima ragazza, nel contesto della Parigi degli anni 50, il cui cadavere viene rinvenuto in una piazza della città, vestito di un costoso abito da sera intriso di sangue.

Sin dalle prime battute, quello che colpisce lo spettatore è il metodo investigativo di Maigret fatto di immedesimazione, di intuito, di ascolto.

È la storia e l'identità della vittima che lo interessa in primo luogo. Infatti, davanti al cadavere della giovane, il Commissario, prima di chiedersi chi sia stato a ucciderla, si preoccupa di scoprirne il nome, le motivazioni del suo arrivo a Parigi che la accomunano a tante altre adolescenti dell’epoca, il quartiere di provenienza, gli ambienti da lei frequentati, le persone incontrate, amiche o approfittatrici, per risalire innanzitutto alle possibili cause che hanno potuto determinare il delitto.

La vittima

Intuito e ascolto sono dunque gli strumenti più efficaci della sua indagine, strumenti comuni potremmo dire, di cui si può essere in possesso anche per sole doti naturali di sensibilità ed empatia, che suscitano nel suo animo quelle sensazioni che lo conducono passo dopo passo alla scoperta della verità.

Le persone che interroga, entrando nelle loro case, sono spesso estranee alla vicenda su cui indaga, come nel caso di questo film: la portinaia, la farmacista, l’anziano ebreo Kaplan, una giovane incontrata casualmente, Betty, che le ricorda la vittima per il gesto con cui si attorciglia i capelli attorno a un dito, particolare di cui viene a conoscenza interloquendo proprio con una delle complici del delitto. 

Betty

Con lei stabilisce un rapporto familiare di affetto e di protezione, come fosse la figlia perduta nei primi anni del suo matrimonio, che sarà determinante nella scoperta del movente e che diventa addirittura la teste principale della sua indagine, pur essendo totalmente estranea ai fatti.

Insomma, è la persona a interessare e a coinvolgere Maigret, con tutto il suo bagaglio di vissuti, con la sua personalità, spesso misteriosa, da decifrare, con le sue passioni più segrete e inconfessabili, e prova emotivamente compassione per la sua drammatica e triste vicenda esistenziale. Un commissario umano e sensibile, dunque, nonostante il suo carattere burbero e taciturno.

Ma il tratto che più sorprende in lui è che manifesti la medesima umanità non solo nei riguardi della vittima, ma anche nei confronti degli stessi autori del delitto che non giudica e non condanna, ma comprende e ascolta, considerando anch’essi, più che colpevoli, vittime di un intreccio di situazioni da cui rimangono ineluttabilmente accerchiati e prigionieri, convinzione questa che appartiene allo stesso Simenon come ha rivelato personalmente nel corso di un’intervista al Corriere della Sera (19/05/1985).

Maigret, a colloquio con una indagata

E nel dipanarsi degli eventi, sembra quasi che i colpevoli siano condotti per mano a “scontare” la loro pena quando vengono messi di fronte alla nuda e cruda verità senza poter più fuggire o nascondersi, come nel momento del riconoscimento del cadavere, un atto dovuto ma lacerante, che viene imposto dal Commissario proprio a una delle figure chiavi del delitto, come gesto educativo catartico e riparatorio, per essersi macchiata di una colpa così grave e imperdonabile.

Altro tratto caratteristico di Maigret è il rifiuto dell’uso di metodi violenti nel corso degli interrogatori. La persona viene sempre considerata e trattata con rispetto, in forza della sua dignità umana. 

I metodi di persuasione adottati, dunque, non sono mai afflittivi e coercitivi ma mirano allo sfinimento della resistenza dell’indagato nel corso dell’interrogatorio, ponendolo per ore davanti alla stessa domanda. 

Maigret interroga una delle persone indagate

E i pedinamenti delle persone sospette non sono mai segreti e a distanza ma assolutamente palesi e ravvicinati, per stancare l’indagato facendolo sentire sempre più accerchiato e controllato.

Un film e una storia dunque, quella di Maigret, fortemente attuale, che si intreccia intimamente alla nostra vita contemporanea e che insegna a scegliere e a praticare quei valori che sono essenziali alla convivenza civile, come l’onestà, la lealtà, la giustizia.

Incuriosita dal ritorno al cinema di questo mito del passato, sono andata anch’io a vedere il film di Leconte e mi sono lasciata coinvolgere dall’armonia che emana dal modo in cui è raccontata questa vicenda, nonostante la sua drammaticità, e dalla famiglia Maigret, in cui anche la moglie svolge un ruolo importante, centrale, spesso di complicità e di supporto alla professione del marito.

Maigret con Betty

Uscendo dalla sala cinematografica con le immagini del Commissario Maigret impresse nella mente, colpita dai suoi modi umani e dalla sua sensibilità, mi sono chiesta quanto questa figura sia una idealizzazione della realtà, ben più cruda di quella ritratta da Simenon.

Quante violenze e torture subiscono ogni giorno e in ogni parte del mondo gli indagati, qualunque sia la carica rivestita dal soggetto inquirente, allo scopo di estorcere loro la confessione delle informazioni di cui sono a conoscenza! Quanto è calpestata la dignità umana con sopraffazioni e umiliazioni di ogni genere!

Ma, mentre mi attardavo con tristezza su queste considerazioni, sono affiorati alla mia memoria i volti di Falcone e Borsellino che hanno ravvivavo la mia fiducia e la mia speranza. 


Anche i loro metodi, ho pensato, erano tutt’altro che violenti. E molti altri sicuramente esercitano la loro professione seguendo le loro orme.

In particolare mi è ritornata alla mente la relazione paterna instaurata da Paolo Borsellino con la giovane adolescente testimone di giustizia Rita Atria, che amava chiamare con una affettuosa espressione siciliana “a picciridda”, a cui ho dedicato uno dei miei recenti post

Allora, mi sono detta, possiamo anche credere nella funzione contagiosa di questo film, possiamo sperare che il “metodo Maigret” possa diffondersi e prevalere; possiamo augurarci che la giustizia diventi più giusta e più umana, anche nei nostri commissariati di polizia e nelle nostre case circondariali; possiamo confidare che l’ascolto rispettoso e intelligente delle persone prenda il posto delle violenze, delle percosse, dei massacri della cui esistenza molte volte noi non siamo neppure a conoscenza.



Commenti

  1. Mi hai fatto tornare indietro nel tempo , quando tutto era normale quando tutti erano normali. Quando essere carabiniere era un onore e la gente era contenta se ce n’era uno nelle vicinanze . E ora ?

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  2. Ciao, carissima Aurora.Ho letto il post: mi è piaciuto molto il tratto del Commissario che Tu hai analizzato magnificamente bene:
    praticamente, la sua prospettiva psicologica, con l'osservazione, la riflessione e il silenzio, doti di individui ricchi di saggezza e tantissima pazienza. Brava Aurora. Filippo Grillo

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  3. Ciao Aurora! Grazie per questo bellissimo post! La tua penna ha tratteggiato con acribia il commissario Maigret. Complimenti! Il Commissario, come affermi, sapeva ascoltare: le persone, le situazioni, persino i silenzi e il fruscio,lieve, delle foglie degli alberi. Dalla fine qualità del suo ascolto scaturiva la risoluzione dei casi, la verità sulla vita. Grazie ancora ,Aurora. I tuoi post fanno sempre riflettere e meritano una lettura attenta. Ti abbraccio con affetto. Maria Cristina Scorrano

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  4. Penso che persone con questa sensibilità d’animo nel cinema moderno non esistono. Lui era un grande! De Pardieu lo sostituisce bene? Marilia

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  5. Da Salvo Patane '
    Sicuramente il metodo "Maigret" o quello "Falcone Borsellino" sarebbero da imitare.
    Purtroppo trovano poco riscontro nella vita di oggi e nella vita di sempre.
    La giustizia "senza la misericordia" non è una giustizia " giusta".
    Ed oggi, come spesso nella storia, la giustizia è asservita al potere .
    Ed il povero, il più debole viene spesso calpestato e vilipeso.
    La giustizia è applicata dagli uomini e quindi risente della loro cultura, educazione e ispirazione religiosa.
    Quindi è parziale e sempre perfettibile.
    Dobbiamo augurarci che Dio ed il vangelo ispirino gli uomini di giustizia affinché vengano rispettati i diritti degli ultimi e degli indifesi.
    Salvo Patane'

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  6. Interessante e profondo
    Grazie come sempre. Laura Scorcelletti

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  7. Ciao Aurora! Con Maigret mi hai evocato vecchi ricordi. La serie con Gino Cervi mi è sempre piaciuta, sia per la pacatezza degli episodi che la bravura dell'attore; era uno di noi. Per quanto riguarda Gerard Depardieu, non mi è affatto simpatico, per me è out. Angelo Fossa

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  8. SCRIVE CARMELO SARCIA'
    Salta subito agli occhi un particolare non da poco che anticiperei con una battuta: La pecorella smarrita torna finalmente all'ovile. Mi riferisco al personaggio Jules Maigret, Commissario di Polizia Francese, "figlio" dello Scrittore Belga di Lingua Francese Georges Simenon, che riemerge dalla polvere degli archivi, nei panni stavolta, non di un Italiano, ma di un vero attore Francese, per ironia della sorte addirittura cittadino Belga, come Simenon, poi naturalizzato cittadino russo probabilmente per motivi fiscali. Non è un caso che io, sopra, abbia dato le maiuscole ad alcuni termini... L'ho fatto per introdurre l'oggetto del mio commento.
    L'aver resuscitato il personaggio, il cui "papà" Simenon è morto nel 1989, più di 30 anni fa, rende onore postumo all'Autore e riporta le sue gesta nello stesso ambiente in cui fu ideato che è la terra di Francia, con le sue caratteristiche, il suo paesaggio, i suoi usi e costumi, la sua gente, i suoi delitti e i suoi criminali. La Francia non è uguale all'Italia … e Gérard Xavier Marcel Depardieu non è Gino Cervi. Bene ha descritto Aurora Sarcià il personaggio del Commissario impersonato da Gino Cervi, ridotto, "suo malgrado", ad un poliziotto provinciale col cuore grande e la perspicacia razionata. Non v'è alcun dubbio che l'interpretazione del Francese Depardieu proporrà le stesse emozioni provate da Simenon allorché immaginava i tratti del poliziotto da lui inventato, che non potremmo mai considerare alla stregua di quelle di un poliziotto italiano. E questo non certo per demerito della Polizia italiana che di meriti rispetto a quella Francese ne ha certamente molti di più. Ma perché i Francesi non pensano e non agiscono come noi Italiani. Se lo avessimo capito quando era il momento, avremmo almeno cercato di imitarli nel corso delle trattative per la fondazione della Comunità Europea, poi diventata la Franco-Tedesca Unione Europea. Ma noi niente... Noi non cambiamo ... Noi siamo sempre gli stessi Italiani del 1860 (che fatta l'Italia, bisognava fare gli Italiani e poi, dopo la prova del Ventennio finita male, non se ne è più parlato) con la coperta corta, col mattone di terracotta per scaldarci, con la gallina in cantina per l'ovetto fresco e da qualche anno, col reddito di cittadinanza per eliminare definitivamente il LAVORO dall'articolo 1 della Costituzione. Che ci sia il Re, che ci sia Mussolini, che ci siano De Gasperi, Andreotti, Craxi, Prodi, Berlusconi, Monti o Gentiloni, noi tiriamo dritto verso il burrone, fermi ognuno sulle sue posizioni, litigiosi, invidiosi, opportunisti e probabilmente poco preparati nella cultura generale, storica e politica. Infatti tutto ciò che nella storia hanno ideato, voluto, realizzato e imposto agli altri i Francesi, noi Italiani ce lo sogniamo... E neanche tanto, perchè per sognare bei sogni ci vuole cervello. Bentornato dunque Maigret, stavolta in panni francesi e recitato da un Francese DOC, così come immaginato da Simenon. Il confronto di solito è spiacevole, ma questa volta credo sia necessario ed istruttivo, oltre che opportuno. Onore a Simenon, dunque, pur col suo attivismo non del tutto condivisibile, poiché, scrivere 80 pagine al giorno, sia pure di un romanzo giallo, non è un'impresa da gente normale.

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