Testimone di giustizia

Rita Atria

Non è una storia a lieto fine quella che sto per raccontare, ma una storia drammatica ed eroica, una tragedia in cui si intrecciano luci fulgide e radiose, insieme a ombre tetre e angoscianti.

La protagonista è un’adolescente di appena 17 anni, dall’animo retto, dai sani principi, animata da una visione onesta della vita, nonostante il contesto mafioso e criminale in cui vive.

Rita Atria è il suo nome. Tra un paio di giorni avrebbe compiuto 48 anni. Ma la sua vita si interrompe 30 anni fa, prima di compierne 18.

La sua breve esistenza si svolge a Partanna, un piccolo paese del trapanese, dove si combatte una guerra spietata tra le diverse famiglie mafiose che si contendono il controllo del territorio, una faida feroce che mieterà numerose vittime tra le cosche rivali che aspirano al potere. 

Veduta di Partanna

Nella Valle del Belice sono soprattutto gli Ingoglia e gli Accardo, detti Cannata, le famiglie tra loro in guerra. 

Sarà la seconda delle due famiglie a prevalere, grazie anche all’aiuto dei Corleonesi, capeggiati da Riina Bagarella e Provenzano, in quegli anni in ascesa in tutta la Sicilia, che hanno interesse a piazzare persone fidate in ogni territorio.

Il padre e il fratello di Rita, ambedue mafiosi, sotto l’influenza dei Cannata, saranno tra le vittime di questa sanguinosa guerra.

Il padre, don Vito, è ufficialmente pastore ma in realtà svolge il ruolo di paciere nella cosca e aiuta i pastori a ritrovare le pecore che lui stesso ruba per costringerli a pagare il pizzo. 

Don Vito è un mafioso vecchio stampo, che non vuole sporcarsi le mani con la droga. È un ostacolo quindi per i Corleonesi che stanno invadendo il trapanese di “raffinerie” di eroina. Per questo viene ucciso nel 1985, quando Rita è appena undicenne


A distanza di pochi anni, il 24 giugno 1991, sarà eliminato anche il fratello Nicola, anche lui mafioso, che avrebbe voluto vendicare col sangue la morte del padre.

Prima della sua morte, però, Rita riceve da lui  molte confidenze e viene a conoscenza  di tanti importanti segreti: sa chi comanda a Partanna, com’è strutturata la mafia, quali sono gli esponenti della cosca coinvolti nell’omicidio del padre.

Ma non accetta l’idea, così diffusa nel suo ambiente, di ricorrere alla vendetta per pareggiare i conti, e vuole intraprendere un percorso di verità e di giustizia.

Decide così di seguire le orme della cognata, Piera Aiello, che a soli 18 anni viene costretta suo malgrado a sposare Nicola Atria e, rimasta vedova a 24 anni, diventa prima donna testimone di giustizia, prendendo decisamente le distanze dalla mafia, con la quale non ha voluto mai avere niente da spartire.

Piera Aiello oggi

Il 5 novembre 1991 si presenta dunque anche Rita davanti al giudice Paolo Borsellino, allora procuratore di Marsala, dichiarando che è sua intenzione fornirgli notizie sulla morte del padre e del fratello.

Grazie alle deposizioni sue e della cognata, diversi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala vengono arrestati e viene avviata un'indagine sul politico democristiano Vincenzino Culicchia, che per trent'anni (1962-1992) sarà indisturbato sindaco di Partanna.

Sfida così con estremo coraggio le minacce della madre che la maledirà rinnegandola come figlia, non condividendone le scelte, e che continuerà a coprire con omertà la mafia sino alla fine.

Sarà un rapporto straordinario invece quello che la legherà al giudice Borsellino, che la accoglie come una “picciridda” (“bambina” in siciliano) da proteggere e di cui preoccuparsi.

Il giudice Paolo Borsellino

A tale scopo le verrà assicurato a Roma un luogo segreto in cui abitare, lontano dalle trame minacciose della mafia, dove vivrà insieme alla cognata, sradicata dalla sua terra e privata dei suoi affetti, abbandonata anche da Calogero, il ragazzo che amava, ormai completamente succube della mafia ed esecutore dei suoi ordini.

Unici suoi punti di riferimento sono il suo diario, che porta con sé quando lascia la sua terra in fretta e furia a mani vuote, e il giudice Borsellino a cui si lega come a un padre, uno zio, un parente prossimo e caro.

Dopo la strage di Capaci (23/05/1992), in cui perderà la vita il magistrato Giovanni Falcone, Paolo Borsellino andrà due volte a Roma a trovare Rita, sempre in pensiero per la sua incolumità.

Purtroppo, a distanza di soli 57 giorni, il 19 luglio 1992, a Palermo in Via D’Amelio, anche lui sarà brutalmente eliminato e con lui le flebili speranze di Rita, che, appresa la notizia dal telegiornale, non sarà capace di portare il peso di questo ulteriore abbandono e, in preda allo sconforto, il 26 luglio si lascerà cadere dal balcone della sua abitazione al settimo piano di viale Amelia a Roma.


Le loro strade si incrociano così non solo nella ricerca della verità e della giustizia, ma anche nel momento e nel “luogo” della morte, che si consuma sull’asfalto di due vie che portano stranamente un nome così simile!

Grazie al diario di Rita, di cui sono stati pubblicati solo alcuni stralci, possiamo ricostruire la personalità di questa povera ragazza, che aveva capito che con Borsellino erano stati uccisi anche i suoi ideali, la sua speranza nella giustizia e il senso della sua battaglia.

Le sue parole rivelano la maturità interiore e il dramma umano di questa giovanissima donna, coraggiosa, forte, determinata, ma soprattutto intelligente, in grado cioè di capire, di valutare, di esprimere giudizi critici sulla realtà in cui vive, nella quale la quasi totalità delle persone è dominata dalla mafia, prigioniera di comportamenti omertosi di complicità e di illegalità.

La forma espressiva abbastanza corretta e appropriata, il contenuto delle sue considerazioni pertinenti e profonde, sorprendono il lettore che si trova davanti a una personalità adulta e saggia, nonostante la sua tenerissima età; dotata di un livello di istruzione apprezzabile, benché in possesso di un modesto titolo di studio, la qualifica professionale alberghiera; con un alto senso morale e civico, sebbene il contesto sociale e familiare d’origine fossero di tutt’altro genere.

Una pagina del diario di Rita Atria

Dopo la morte di Borsellino scriverà:

"Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita
Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. 
Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta".

Ed era particolarmente pessimista e non si faceva alcuna illusione neanche riguardo a Vincenzino Culicchia, democristiano, sindaco “a vita” di Partanna, indagato anche lui nell’inchiesta per le faide nella Valle del Belice e per l’omicidio del vicesindaco di Partanna Stefano Nastasi:

Vincenzino Culicchia

Credo proprio che mai Culicchia andrà in galera. Ha ucciso, rubato, truffato ma mai nessuno riuscirà a trovare le prove che lo accusano e provino che dico la verità. 
Sono sicura che mai riuscirò a farmi credere dai giudici; vorrei che ci fosse papà, lui riuscirebbe a trovare le prove che lo facciano apparire per quello che veramente è, cioè Culicchia è solo un assassino truffatore, ma naturalmente le parole di una diciassettenne non valgono nulla. 
Io sono solo una ragazzina che vuol fare giustizia e lui un uomo che interpreta benissimo la parte del bravo e onesto onorevole
Io non potrò più vivere, ma lui continuerà a rubare, e a nascondere che è stato lui a far uccidere Stefano Nastasi. 
Già, come sempre, vince chi è più bravo a truffare la vita.”

E su questo Rita aveva pienamente ragione. L’onorevole Culicchia, morto il 17 ottobre 2016, nel 2000 viene pienamente assolto da ogni accusa e prosegue indisturbato la sua fiorente carriera politica, transitando da un partito all’altro.

Assemblea Regionale Siciliana

E dopo essere stato sindaco di Partanna per 30 anni, dal 1962 al 1992, riveste la funzione di deputato alla Camera dal 1992 al 1994; viene rieletto sindaco della sua città per altri 5 anni, dal 2003 al 2008; è deputato all’ARS (Assemblea Regionale Siciliana) dal 1976 al 1991, e dal 2005 al 2006; e, come se non bastasse, viene eletto anche Vicepresidente della Provincia di Trapani dal 2008 al 2012. Insomma, non solo assolto, ma anche premiato e ripetutamente promosso e sempre in ascesa.

Questa storia quindi in realtà brilla solo per la coraggiosa testimonianza di Borsellino e Rita, ma in fondo è piena di sconfitte e di fallimenti per tutto quello che è accaduto con e dopo la loro morte.

Per Rita non si celebra neppure un funerale, negatole perché suicida da una Chiesa ancora troppo medievale. Le sue spoglie, giunte da Roma al suo paese, vengono accolte il 31 luglio al cimitero da don Calogero, un prete che non sa pronunciare per lei neanche una parola di affetto, e non sa esprimere nessun apprezzamento per il suo coraggio, e nessun auspicio di speranza per l’iter giudiziario in corso.

Solo un messaggio improprio sa formulare questo inadeguato e miope ministro di Dio, parole vuote, coperte dalle urla e dai pianti delle poche donne siciliane presenti in un cimitero quasi deserto: le crisi depressive della ragazza all’origine del suo gesto disperato. In quel deserto però si muove una presenza significativa, Letizia Battaglia che immortala col suo obiettivo quel momento storico da non dimenticare.

La fotografa palermitana Letizia Battaglia

Unica espressione d’amore per Rita, in così triste squallore, è un lenzuolo colorato, con la scritta "dedicato a Rita", attaccato a un albero, e, importante e coraggiosa testimonianza, la lettera dei magistrati di Marsala Sciacca e Trapani, letta dal prete a conclusione del suo intervento:

La tristissima morte di Rita ha riempito di sconforto l'animo di noi giudici già avviliti per l'irreparabile perdita di Paolo Borsellino... Noi tuttavia confidiamo che l'esempio di Rita sia recepito da molte altre persone che ancora si trovano avvolte dal giogo del silenzio … Noi abbiamo voluto esserle vicini con queste parole poiché sappiamo quanta speranza avesse riposto nella giustizia".

Aggiunge ulteriore dolore a questa triste vicenda il comportamento disumano e violento della madre di Rita, che, il 2 novembre, sarà capace persino di distruggere a martellate la lapide della sua tomba e la sua foto, uno sfregio ignobile e crudele che le costerà la condanna a due mesi e 20 giorni di reclusione. Fino al 2012 la tomba di Rita rimane senza nome, fino a quando muore la madre e la sorella di Rita, Annamaria, colma a modo suo questo vuoto.

La tomba di Rita senza nome

La lapide realizzata dalla sorella di Rita

La storia di Rita ha ispirato opere teatrali, cinematografiche, letterarie e poetiche, che hanno reso giustizia al suo sacrificio e hanno restituito dignità e rispetto alla sua memoria.

Il suo esempio ha lasciato un segno indelebile nella storia e un insegnamento per tanti giovani che vedono in lei un modello luminoso di onestà e di legalità da imitare.

Nonostante i molti aspetti negativi di questa vicenda, voglio credere pertanto, per non uccidere la speranza, che qualcosa comunque sia cambiato in questi trent’anni dalla morte di Rita e del giudice Borsellino, nella coscienza delle persone, nella cultura sociale, nella sensibilità popolare. 

Giornata della memoria delle vittime innocenti di mafia

La mafia purtroppo non è stata ancora sconfitta e non sappiamo se lo sarà mai.

Troppi mafiosi, a ogni livello, continuano indisturbati a esercitare il loro potere e a ricoprire incarichi importanti e ruoli istituzionali di responsabilità.

Ma forse oggi tra la gente c’è una maggiore consapevolezza, una più adeguata capacità di giudizio e di opposizione alla mafia, forse le forze dell’ordine sono più presenti, forse le denunce sono più numerose, tante associazioni sono sorte per educare in particolare le giovani generazioni e per mantenere viva la memoria di chi ha donato la vita per questa causa.

E tutto questo affinché il loro amore per la verità e il loro sacrificio per la giustizia non siano vani!

Commenti



  1. Un bellissimo articolo con i minimi particolari, molto scorrevole e di piacevole lettura. Purtroppo la mafia non si sconfiggerà mai. È come i gioielli di famiglia: si tramanda da padre in figlio.
    Sono rare le storie come questa. Disgustosa la figura della mamma.
    Bravissima invece sei tu che scrivi tanto bene❤️. Marilia

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  2. Cara Aurora, cito una frase letta nel tuo post.... Significativa e Vera:
    “Viva la memoria di chi ha donato la vita per questa causa”.
    La mafia deve essere abbattuta e non farla vivere. 🙏 Laura Scorcelletti

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  3. Ciao Aurora.Leggendo il Tuo bellissimo e ben analizzato post, come siciliano,ben conoscendo la storia che Tu hai descritta con tantissimi particolari mi sono fatto ritornare i brividi pensando nuovamente alla tenacia di questa povera ragazza che voleva combattere la mafia,da sempre senza scrupoli e rimorsi solamente con la rettitudine e la sua onestà intellettuale.Mah...Filippo Grillo

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  4. Ancora una conferma, se ce ne fosse bisogno, che l'unica giustizia è quella divina.
    Quella affidata agli uomini è sempre parziale, influenzata dalla forza delle parti in causa e dagli umori del momento dei " giudici".
    La storia di Rita Atria è esemplare di una giustizia giusta che capitola davanti alla preponderanza della illegalità diffusa a tutti i livelli.
    Tanto è stato fatto in questi ultimi 30 anni per combattere la mafiosita' di comportamento, per diffondere la necessità di ribellarsi a questo stato di fatto.
    A partire dalla famiglia ,dalla scuola , dalle parrocchie.
    Ma rimane ancora di più da fare per sconfiggere il senso di impotenza che è dentro ognuno di noi. Di ineluttabilita' del male che trionfa sul bene.
    Abbiamo bisogno di una carica di energia, di fede, di fiducia nel Vangelo che può aiutarci a essere più testimoni credibili nel tempo in cui viviamo.
    Salvo Patane'

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  5. Ciao Aurora, sono finalmente riuscita a leggere il tuo nuovo ed interessante post. Proprio nel giorno del compleanno di Rita Atria (4/09/1974). È una storia veramente tragica. Quest'anno ne ho parlato in una mia terza media trattando il tema della legalità in Educazione Civica. I ragazzi sono rimasti colpiti dal rapporto di questa povera ragazza con il giudice Borsellino e dal senso di abbandono che Rita deve aver provato dopo la sua morte. È importante mantenere vivo il ricordo. Per questo è lodevole che tu ne abbia scritto. La mafia non è sconfitta, ma, come affermi tu, esiste una nuova consapevolezza civica. Mi piace pensare che in tanti hanno vinto la mafia "in sé stessi". Grazie per i tuoi articoli! Un abbraccio. M.Cristina 🥰🌷🙋‍♀️

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  6. Grazie per la storia che ci hai raccontato, non sapevo di questa vicenda, penso a quante Rita ci potrebbero essere ma che non trovano il coraggio!

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