Unico e irripetibile!

 


Un desiderio, che covavo nel cuore da tanto tempo, finalmente lo scorso 18 aprile si è avverato: trovarmi a Milano davanti al Cenacolo di Leonardo e poterlo contemplare da vicino.*

La prima sensazione che ho provato è stata quella di sentirmi parte della scena, partecipe dell’evento raffigurato, confusa tra i personaggi, coinvolta nelle loro stesse emozioni, piuttosto che una spettatrice a distanza.

Probabilmente anche le dimensioni provocano questo effetto. Il dipinto infatti è enorme, circa 9 metri per 5. E i personaggi superano di gran lunga la nostra statura.

Realizzato su una parete del refettorio dei padri domenicani, sembra quasi un prolungamento delle sue stesse tavole da pranzo che un tempo occupavano gli altri tre lati del locale e attorno alle quali i frati si disponevano per consumare i loro pasti e meditare.

Il refettorio è annesso alla meravigliosa basilica rinascimentale Santa Maria delle Grazie, prezioso bene culturale del nostro Paese protetto dall’Unesco.


Non mi soffermerò sui particolari aspetti tecnici con cui è stata realizzata l’opera e che hanno messo a dura prova la sua conservazione nel corso della storia, rendendo necessari ripetuti e meticolosi interventi di restauro, spesso purtroppo maldestri, fino all’ultimo che si è protratto per più di vent’anni, dal 1977 al 1999, e che ha riportato il dipinto il più possibile al suo stato originario, grazie anche alla consultazione di alcune copie che di esso sono state fedelmente prodotte.

È piuttosto il contenuto che vi viene raffigurato, e che rende questo capolavoro unico al mondo, che mi preme commentare.

Non esiste infatti una riproduzione dell’ultima cena, tra le numerosissime che sono state realizzate da altri artisti nel corso dei secoli, che sia paragonabile a questa. 

Perché qui i diversi personaggi non vengono raffigurati solo esteriormente, mentre consumano la loro ultima cena che resterà memorabile nella storia. Ma ne viene immortalata l’interiorità che traspare da ogni particolare movenza dei loro corpi.

Pietro Perugino, Ultima cena, 1493-1496, affresco, Museo Cenacolo di Fuligno, Firenze

La scena infatti ci si presenta non come una rappresentazione statica e inespressiva, ma piuttosto come un dramma concitato e inquietante che si consuma inatteso sotto il nostro sguardo, attraverso la movimentata gestualità dei dodici protagonistipresi alla sprovvista da un Gesù pensoso, triste, rassegnato, impotente, con gli occhi socchiusi e il volto orientato verso il vuoto,  come se fosse già uscito fuori dalla storia. Anche la posizione delle sue mani non è casuale ma esprime i moti del suo animo: la sinistra inerme, aperta verso l’alto, e la destra nell’atto di afferrare quel pezzo  di pane che smaschererà il colpevole.


Il famoso filosofo tedesco Goethe, che nel 1788, in occasione del suo viaggio in Italia durato due anni, aveva potuto ammirare estasiato l’opera, rimane particolarmente attratto dalla eccessiva gestualità dei suoi personaggi di cui però non si meraviglia, riconducendola a uno dei tratti tipici della cultura italiana, che aveva avuto modo di osservare dal vivo, come rivelerà nel suo scritto “Il cenacolo di Leonardo” riferendosi al suo autore: “Nella sua nazione il corpo intero è pieno di spirito, tutte le membra partecipano a ogni espressione del sentimento, della passione, persino del pensiero”.

Ritratto di Goethe durante il suo viaggio in Italia

I protagonisti della scena, infatti, entrano in azione con tutto il loro corpo gesticolando vivacemente, manifestando così non solo a parole i propri sentimenti e le proprie istintive reazioni, diverse e specifiche per ogni personaggio.

Da ogni volto traspaiono stati d’animo ed espressioni che rivelano personalità e modalità di comportamento soggettive. 

Il loro modo di rapportarsi all’evento in corso è infatti unico e differente per ciascuno di essi, e la scoperta di questo dato straordinario lascia sorpreso l’osservatore.

Era proprio questo del resto l’intento di Leonardo: immortalare per sempre in una sorta di scatto fotografico la bufera di pensieri, di interrogativi, di dubbi, di amarezze, di debolezze, di risentimenti, di sensi di colpa, che in un attimo aveva assalito, come un terremoto, quel gruppo di uomini, angosciati dall’annuncio di una dolorosa tragica rivelazione: “uno di voi mi tradirà”.

Autoritratto di Leonardo da Vinci, 1517

La loro immediata reazione è da una parte quella di indagare, di chiedere, di confrontarsi increduli l’un l’altro per scoprire chi possa essere il traditore; dall’altra quella di tirarsi fuori da qualsiasi complicità o responsabilità, credendosi assolutamente estranei a ogni minima colpevolezza.

Così, con i tratti della sua matita e con i colori delle sue pennellate, è proprio questo che Leonardo vuole descrivere nel suo maestoso dipinto: questo guazzabuglio di pensieri, di sentimenti, di emozioni, di passioni che invadono i cuori e danno forma ed espressione ai volti e alla postura dei diversi personaggi.

Leonardo infatti, che si lascia guidare dalla narrazione evangelica che legge e medita a lungo per rappresentarla al meglio, è anche uno studioso curioso e appassionato dell’anatomia umana e della fisiognomica (dal greco, conoscenza della natura e, in senso più generico, fisionomia) ed è convinto che esista nella persona una stretta relazione tra aspetti fisici e psichici; tra i lineamenti e le espressioni del volto, e i moti dell’animo, le caratteristiche psicologiche dell’essere umano, la sua inclinazione morale.

Uno dei disegni anatomici di Leonardo

Egli condivide infatti una teoria del tempo secondo la quale le emozioni sono causate da un riscaldamento o da un raffreddamento del cuore seguito da un affioramento del sangue sul viso o da un pallore.

Studiando i muscoli del volto, individua così il muscolo dell’ira e quello del dolore. Studiando la forma del cranio e le sue dimensioni, le collega alla natura delle persone e alla loro anima. 

È per questo che ogni apostolo è diverso dall’altro, costruito nella sua specifica individualità che si manifesta nella gestualità e nelle espressioni facciali. 

Ma, allo stesso tempo, tra essi c’è una forte sinergia, un confronto serrato, un rincorrersi a vicenda per capire, per sondare quel mistero, per svelare completamente la terribile verità da cui sono stati investiti.

Sono divisi in gruppi di tre e in ogni gruppo si agitano paure, domande, incredulità, suppliche.


I personaggi più vicini a Gesù sono più fortemente coinvolti in ciò che sta accadendo. Quelli più distanti da lui manifestano generalmente reazioni più controllate.

Il primo gruppo alla nostra sinistra è costituito da Giovanni, Pietro e Giuda. 


Giovanni è il più giovane dei dodici, speculare alla figura di Gesù, sia per la posizione del suo corpo che per i colori del suo abbigliamento, benché invertiti, e la direzione dello sguardo. Anche il suo volto è pensoso ma sereno: non esprime interrogativi e dubbi, come farebbe ogni giovane che, fiducioso, si affida ciecamente alla persona che ha conquistato il suo cuore.

Nell’anziano Pietro invece risalta il suo piglio impulsivo e focoso, messo in risalto anche dal coltello che stringe con la sua destra. Come sempre egli si fa avanti, entra in azione, prende nuove iniziative. E così si sporge verso Giovanni per suggerirgli di chiedere a Gesù chi sia il traditore.

Giuda si ritrova impigliato dentro questo concitato movimento, stretto come in una morsa da cui non può fuggire, come la borsa di denaro che tiene serrata alla sua destra. L’oscurità del personaggio viene messa ancor più in risalto dal sale che Giuda versa sulla tavola con la sinistra, come segno di sventura, e dal suo sguardo torvo, pieno di paura, proprio di chi teme che siano smascherati i suoi truci pensieri. 

Egli è ritratto accanto agli altri apostoli, non isolato, come in altri dipinti che hanno a tema lo stesso soggetto, forse per esprimere che, in qualche misura, tutti sono contagiati dalla sua stessa doppiezza e che non esiste una separazione netta tra buoni e cattivi.

Il gruppo al loro fianco è costituito da Bartolomeo, Giacomo Minore e Andrea


Bartolomeo, unico personaggio che sta in piedi davanti alla mensa imbandita, poggia le mani sulla tavola e inclina il busto in avanti per ascoltare meglio, mentre Giacomo Minore tocca la spalla di Pietro per richiamarlo alla sua attenzione e carpire da lui qualche informazione più precisa su quanto sta accadendo. Andrea, fratello di Pietro, alza invece le mani in alto, per esprimere lo stupore, ma forse anche in segno di supplica e di preghiera perché nulla accada di quanto si profila all’orizzonte. Tutti e tre hanno lo sguardo fisso sul primo gruppo, in attesa che venga sciolto il tragico enigma che si nasconde nelle parole di Gesù.

Il primo gruppo dalla parte opposta è formato invece dagli apostoli Tommaso, Giacomo Maggiore e Filippo.


Tommaso, benché sia seminascosto dietro la figura di Giacomo, è immediatamente riconoscibile dall’indice della mano destra puntato in alto che sottolinea il suo carattere sospettoso e risoluto. Il suo gesto infatti ci parla della sua diffidenza, dei suoi dubbi e della sua pretesa di avere delle prove per poter credere. Mettere il dito nelle piaghe di Gesù crocifisso sarebbe stata per lui l’unica condizione per accoglierlo da risorto. E anche qui probabilmente avrà esternato lo stesso tipo di richiesta: toccare con mano per credere.

Giacomo è figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, uno dei più intimi amici di Gesù, che con Pietro e Giovanni ha avuto il privilegio di assistere alla sua trasfigurazione e di condividere nell’orto degli ulivi i momenti più cruciali della sua vicenda umana. Egli è raffigurato con le braccia allargate per esprimere tutto il suo stupore e la sua contrarietà alla sconvolgente rivelazione appena ascoltata.

Dietro di lui Filippo porta le sue mani al petto come per discolparsi e gridare la sua innocenza.

L’ultimo gruppo è formato da Matteo, Simone e Taddeo che discutono concitatamente forse per dare un nome e un volto al colpevole annunciato. Matteo, il pubblicano convertito, è agitatissimo e, con le braccia rivolte dal lato opposto rispetto al suo sguardo, fa da collante col resto dei commensali esprimendo chiaramente che è del loro stesso problema che si sta occupando.


Ecco tutte le scene di questo sconfinato dramma che non ha mai avuto fine nella storia e che continua ancora oggi a rinnovarsi con tutta la sua tragicità, in ogni progetto umano che ovunque tradisce l’uomo e la sua aspirazione alla giustizia, alla verità e alla pace.

Ognuno di noi sicuramente si riconoscerà nell'uno o nell'altro dei personaggi, o ritroverà un pezzetto della sua storia in ciascuno di essi. La riflessione non può essere che intensa e profonda.

E se la sosta consentita davanti al cenacolo vinciano è breve, di soli 15 minuti,  uscendo fuori dal refettorio ci si porta dentro un ricordo che rimarrà in noi per tutta la vita, insieme a tanti pensieri che si annodano al presente e che rendono vivi in mezzo a noi quei poveri uomini che ci rassomigliano tanto.

*La prenotazione della visita, aperta con cadenza trimestrale, può essere fatta online sul sito cenacolovinciano.vivaticket.it o tramite call center al numero +39 0292800360.


Commenti

  1. Ho letto tutto d'un fiato...amo la pittura e la tua spiegazione del dipinto è veramente ammirevole.È vero il mistero si rinnova ogni anno.Viene ricordato a pasqua,il tormento umano di Gesù e la sua resurrezione.Il dipinto è bellissimo,ma io trovo ancora più suggestiva l'ultima cena di Caravaggio.A tal proposito ricordo con affetto la scoperta fatta a casa Marino di alcuni libri che aveva pure mio padre che parlavano di storia dell'arte.La sensibilità non ha tempo,rimane nelle nostre storie e nella nostra vita.Grazie Aurora per questo post. Francesca Morgia

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  2. Non ricordo se ho avuto mai la fortuna di ammirare dal vivo il Cenacolo di Leonardi.
    Tuttavia la descrizione di Aurora mi ha aperto tanti orizzonti.
    Gli apostoli a gruppi di tre che discutono concitatamente dei fatti che stanno per accadere, la loro gestualità, il loro abbigliamento , lo sguardo sono tutte feritoie attraverso cui riflettere ed apprezzare la bellezza e la profondità incommensurabile del dipinto.
    Siamo tutti un po' Pietro, un po' Giuda, un po' Tommaso, un po' Matteo con le nostre fragilità, le nostre incoerenze, i nostri rinnegamenti.
    Il Cenacolo è un monito sempre vivo ed attuale, a vigilare sui nostri comportamenti e sulla nostra testimonianza di fedeli cristiani.
    Salvo Patane '

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  3. Si legge con grande piacere questo nuovo post, Aurora! La tua lettura critica del capolavoro " unico e irripetibile " di Leonardo ci racconta il vissuto e le emozioni di Gesù e degli apostoli rendendoci partecipi del drammatico Evento! Grazie! Anch'io desidero ammirarlo dal vivo, vedrò di programmare un viaggio a Milano...Ti abbraccio. Maria Cristina Scorrano

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