Una mostra sui generis

 


Immaginate di trovarvi a Roma e di percorrere a piedi la Via dei Fori Imperiali, a partire dal Colosseo. A poca distanza, sulla sinistra, sorgeva anticamente il sontuoso Tempio della Pacedenominato nel quarto secolo Foro della Pace, costruito insieme all’anfiteatro Flavio da Vespasiano nel 71 d. C. per celebrare la potenza dell’Impero.

Oggi di questa costruzione esistono sul luogo solo pochi resti. Le sette colonne a destra nella foto, rimesse recentemente in piedi, ne sono una piccola testimonianza "vivente".  

Tempio della Pace, Ricostruzione

Inoltre, le continue importanti scoperte archeologiche hanno portato alla luce nel 1562 molti frammenti di un’opera grandiosa che vi era dentro custodita, risalente agli inizi del terzo secolo, la Forma Urbis Romae, che una suggestiva mostra ci consente oggi di conoscere e ammirare.

Si tratta di una imponente raffigurazione della pianta topografica di Roma fatta costruire dall’Imperatore Settimio Severo (193-211 d. C.) dal 203 al 211, con il sud-est orientato verso nord, secondo un’usanza del tempo.

Non si tratta tuttavia di un affresco, come verrebbe da pensare, ma di un “disegno” scolpito sul marmo, inciso meticolosamente, segno dopo segno, attraverso una miriade di intagli che disegnano le planimetrie delle costruzioni dell’antica città, strade, case, botteghe, portici, granai, templi, opere pubbliche, su di una enorme parete che si estende per 234 metri quadri.

Il piano di lavoro, predisposto per eseguirvi sopra l'intaglio, era costituito da 150 lastre di marmo fissate alla parete di una grande aula del Tempio, la Biblioteca Pacis, con possenti ganci metallici, e aveva una larghezza di 18 metri e un’altezza di 13, a partire da 4 metri da terra.

Ricostruzione della Biblioteca della Pace con la Forma Urbis

Se volessimo immaginarne concretamente le dimensioni, dovremmo pensare a uno dei nostri grandi palazzi di almeno quattro piani.


Possiamo solo avere una vaga idea delle difficoltà per la sua realizzazione che testimonia la straordinaria abilità degli artisti che l’hanno costruita.

La parete corrisponderebbe oggi a una delle facciate del complesso dei Santi Cosma e Damiano che sorge nelle vicinanze del Tempio, costruita col materiale edile ricavato dal Tempio, così come la pavimentazione di due delle sue stanze.


Su di essa, infatti, lo scultore e architetto Antonio Dosio nel 1562 ha riconosciuto i fori attraverso i quali sarebbero passate le staffe di sostegno dei blocchi di marmo di cui è composta l’opera.



Le sue dimensioni davvero enormi si spiegano con le sue finalità: l’opera voleva essere infatti una “fotografia” dell’Impero, una dimostrazione della sua grandezza, più che una semplice decorazione artistica.

La sua funzione prettamente propagandistica del potere dell’Impero e di chi lo governava è confermata dai grandi monumenti che ne dominavano lo spazio e che risaltavano nell’opera per la loro vistosa colorazione e per le loro grandi proporzioni.

Statua dell'Imperatore Settimio Severo

Mania di grandezza, potremmo chiamarla. Due parole che spiegano bene tutta la storia degli antichi romani, il cui potere si è imposto per secoli su popoli, culture e civiltà, costruendo un impero che ha dilatato enormemente i suoi confini lasciando ovunque tracce indelebili del suo passaggio e del suo dominio, visibili oggi nei cumuli di frammenti di costruzioni gigantesche e geniali, continuamente riportati alla luce dal lavoro instancabile di chi ha dedicato la sua intera esistenza al rinvenimento dell’antichità.

Emblematico l’accostamento di questa enorme mappa topografica di Roma, simbolo di forza e potere, al Tempio della pace
“Se vuoi la pace prepara la guerra” era infatti il motto degli antichi romani, eredità "sacra" e inviolabile, raccolta e difesa a tutti i costi fino a oggi. E abbiamo visto nel corso di duemila anni quanto sia stata veritiera e quanta pace hanno seminato la forza, le armi, gli eserciti e l’ostentazione del potere.


La Forma Urbis dal mese di gennaio è in mostra al Museo archeologico del Celio. Qui i visitatori possono ammirarne una sua nuova splendida ricostruzione, a distanza di un secolo dalla precedente esposizione realizzata tra il 1903 e il 1924, collocando circa 200 frammenti di marmo (corrispondente ad appena un decimo dell’area complessiva, poiché molti frammenti ritrovati nel XVI secolo, nel tempo furono smarriti) sotto un grande pavimento di vetro, incastonandole dentro una enorme stampa dell’antica città di Roma disegnata dall’ingegnere e architetto Giovanni Battista Nolli nel 1748.


È emozionante calpestare questo pavimento trasparente immergendosi col pensiero in un tempo sepolto ormai in un lontanissimo passato, stratificato sotto i nostri piedi mentre attraversiamo ogni strada della città, che fa capolino qua e là con la sua imbattibile resistenza all’usura dei secoli, delle guerre, dell’incuria umana, delle calamità naturali.

Queste pietre ci restituiscono frammenti di un’epoca che non esiste più, ma che ci parla di ingegno, di fatica, di lavoro, di grandi capacità ingegneristiche, edili e artistiche.


Ma ci insegnano anche che nulla dura per sempre, che il potere non è eterno, che lo sfarzo e la ricchezza sono destinati a finire, che l’imposizione del proprio dominio su altri popoli e civiltà prima o poi si frantuma in piccole scaglie che vengono spazzate via dal vento, come il colosso dai piedi di argilla sognato dal re Nabucodonosor di cui parla la Bibbia (Daniele 2,31-35).


Dovremmo dunque imparare un po’ di saggezza dalla storia e combattere per le cose che hanno davvero valore, che rimangono per sempre e che migliorano la cultura, la civiltà e il dialogo tra i popoli.

Nonostante la cruda e triste realtà, la speranza è l'ultima a morire.


Commenti

  1. Gli anni della vita di un uomo o di una donna sono settanta , ottanta. Fossero anche cento rappresentano un soffio , un respiro dell'universo.
    Eppure, spesso si vive come se se non si dovesse morire mai. Come se un giorno non si dovesse lasciare tutto : affetti, case, oggetti per quanto fossero preziosi.
    Quando si viene alla luce si stringono i pugni. Quando si spegne la luce si aprono le mani , ci si abbandona alla vita che non finisce o al buio più assoluto.
    Dipende dalle proprie convinzioni, dalla formazione spirituale, dalle esperienze vissute.
    Chi vive fomentando guerre senza pensare a tutte le conseguenze nefaste( morti innocenti, distruzioni, disperazione) non mette in conto di essere un essere finito, effimero. Non crede a un creatore, ad un essere superiore a cui si dovrà un giorno rendere conto . Non crede in niente e nessuno , nemmeno a se stesso !
    Dobbiamo ringraziare i grandi artisti, i grandi mecenati del passato che ci hanno tramandato tante bellezze architettoniche e artistiche , tante testimonianze di cui è ricca in particolare la nostra nazione, che attirano milioni di visitatori ogni anno e perpetuano il desiderio di infinito.
    Salvo Patane '


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  2. Grazie, Aurora! Mi ero già ripromessa di andare al Celio... Dopo il tuo bell'articolo andrò sicuramente! E poi: è proprio vero, nulla più della storia romana insegna che tutto passa e finisce... Daniela Latini

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  3. Questo post,secondo il mio modestissimo parere,è uno dei più belli che hai pubblicato,carissima Aurora.In esso si trova la verità storica e il sentimento.È vero nulla dura per sempre,se non quello che rimane nel cuore e che magari può essere tramandato di generazione in generazione.Un abbraccio
    Francesca Morgia

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