Empatia e verità

 

Questa settimana non trovo le parole. La morte di Giulia mi ha completamente spiazzato e ammutolito. Anche se tanti ragionamenti si affollano nella mia mente e suscitano istintivamente dentro di me la voglia di parlare, di gridare, di esprimere a voce alta lo sdegno, la rabbia, l’indignazione che è difficile contenere, alla fine ogni esternazione mi appare superflua, inadeguata, inutile, ridondante, retorica.

Meglio, mi dico, il silenzio. Meglio pensare, riflettere, interiorizzare, immedesimarsi nel dolore degli altri. Perché solo l’empatia e il riconoscimento della verità, senza negazionismi sterili, vili e vergognosi, possono fare oggi la differenza e mettere in moto iniziative efficaci di cambiamento.


È anche vero che mai come in questi giorni la società intera si sta interrogando: dove abbiamo sbagliato? La morte di Giulia infatti ci ha chiamato in causa tutti, lasciandoci costernati e con molto amaro in bocca.

Tuttavia, di fronte a tanta violenza premeditata ed efferata, che ha distrutto in un batter d’occhio due famiglie “normali”, civili, equilibrate, addirittura esemplari, ogni disquisizione mi sembra inopportuna e fuori luogo.

A differenza di molti altri, io non ho certezze incrollabili, risposte chiarificatrici, soluzioni magiche o argomentazioni filosofiche, pedagogiche, teologiche, politiche da offrire a nessuno. Sento solo il bisogno di esprimere pensieri e interrogativi che i fatti di questi giorni stanno suscitando nel mio cuore, mossa proprio dall’empatia e dalla ricerca della verità.


Penso al papà di Giulia, alla sorella, alla sua famiglia, e provo a immaginare il baratro che si è aperto nel loro cuore. 

Penso ai genitori dell’omicida che credevano di avere in casa un figlio “tranquillo” e “perfetto”, e che invece con angoscia si sono ritrovati davanti un mostro.

Penso alla povera Giulia, dal volto e dal cuore di bambina, sensibile e buona, che si è preoccupata più del suo aguzzino che di se stessa, e che non ha capito che era ormai sull’orlo di un precipizio.

Penso a quanto grande sarà stata la sua paura, la sua angoscia, la sua disperazione, nel vedersi braccata, circuita, immobilizzata, imprigionata, irretita irrimediabilmente in una trappola.


Penso alle troppe donne che ogni giorno vengono uccise da chi dice di amarle. I dati ISTAT sono agghiaccianti. Si parla di circa 150 femminicidi l’anno, una miriade di donne che vengono sistematicamente uccise solo perché donne. Una strage delle innocenti persistente, continua, silenziosa, sotterranea, uno stillicidio cinico e pervasivo, che cova nel segreto delle coscienze, che viene pianificata per mesi, per anni, che viene messa in atto brutalmente con freddezza spietata, che esplode apparentemente a ciel sereno, cancellando irrimediabilmente ogni barlume di speranza.

Penso anche alle tante donne non uccise cruentemente, ma distrutte interiormente, che subiscono ogni giorno violenze fisiche e psichiche, persecuzioni e maltrattamenti, che vengono pedinate, minacciate, sfigurate con l’acido, indotte all’autolesionismo e al suicidio.

Mi chiedo perché le donne sono spesso così ingenue, troppo buone, sempre disponibili ad ascoltare, a ricominciare. Perché hanno più a cuore il bene degli altri piuttosto che il proprio. Perché non sanno riconoscere il limite oltre il quale non devono mai andare. Perché non avvertono la pericolosità di certi incontri proibiti e rischiosi che sono vicoli ciechi, labirinti senza via d’uscita, appuntamenti con la morte.


Perché scambiano la gelosia, la manipolazione, la sottomissione, il possesso con l’amore. Perché hanno così tanta pazienza nel sopportare egoismi e imposizioni, e non sono capaci di difendere la loro libertà.

Penso alla società impotente che guarda, assiste e poi subito dimentica, che fallisce davanti a ogni nuovo delitto, davanti a ogni nuovo sfregio, davanti a ogni nuova aggressione. 

Penso all’assenza, alla latitanza, all’inadeguatezza di chi dovrebbe educare e non è in grado di farlo.

Penso alla scuola che spesso si limita a istruire o, peggio, a indottrinare invece di fare cultura. 

Penso ai genitori che non sanno dire dei no, che non sanno dialogare, che non conoscono i loro figli, che non sospettano minimamente quello che può agitarsi nel loro cuore, che danno loro tutto quello che hanno e che possono, tranne quello che sarebbe davvero indispensabile e necessario alla loro maturazione e alla loro crescita. 

Una scena del film The Riot Club, film del 2014 diretto da Lone Scherfig

Penso agli adolescenti, ai ragazzi, ai giovani, che passano intere giornate insieme, sui banchi di scuola, nei campi sportivi, nei pub, nelle discoteche, sui muretti, per strada, che si conoscono più di quanto riescano a conoscerli le loro famiglie e i loro docenti, che assistono a comportamenti violenti, di sopraffazione, di ritorsione, di intimidazione, di bullismo, ma che tacciono, che si tagliano fuori, o che diventano addirittura complici di un silenzio omertoso e di una violenza gratuita e devastante, per non tradire l'amico, per non essere accusati di spionaggio.


Penso a chi potrebbe intervenire e non arriva mai o arriva sempre troppo tardi, a fatti compiuti, quando ormai la storia è giunta al suo epilogo, quando ormai la violenza si è consumata. 

Penso che tante volte la realtà ci inganna e che non siamo in grado di decifrare ciò che si verifica sotto i nostri occhi. Spesso la vita, nostra e degli altri, ci sembra normale ma non lo è. Spesso le persone ci sembrano tranquille ma non lo sono. Troppe volte le relazioni ci sembrano felici e invece nascondono dolori acuti e indicibili sopraffazioni. Spesso crediamo nella genuinità dei sentimenti altrui e invece abbiamo a che fare con un finto amore che si nutre quotidianamente di egoismi, di gelosie morbose, di esclusivismi.

Penso che dovrebbero essere banditi dal linguaggio comune gli aggettivi possessivi riferiti alle persone, perché coltivano idee e atteggiamenti di accaparramento, di proprietà e di cosificazione, che spingono a rivendicare diritti assoluti ed esclusivi. Al contrario, dovrebbero essere usate nuove espressioni che rivelino relazioni paritarie di reciproco rispetto e di libertà.


Penso che dietro le tante esternazioni di dissenso si possono nascondere in molti casi anche tanta ipocrisia, tanta incongruenza, tante contraddizioni. Perché se vogliamo davvero salvare dalla violenza le prossime Giulia, a loro insaputa in lista di attesa, dobbiamo prendere tutti le distanze dal modello maschilista propinato continuamente dai media e dai tanti personaggi pubblici che creano tendenza e stili di vita.

Per fare solo un esempio, ma ce ne sarebbero tanti altri da elencare, non posso non pensare all’egocentrico e narcisista Fabrizio Corona che, appena uscito dal carcere, è stato intervistato ed esibito da tutti i media come esemplare umano da porre su un piedistallo,  come un Apollo di natura divina sceso in terra dall’irraggiungibile Olimpo per abbagliare con il suo splendore l’umanità.


Dobbiamo decidere da che parte stare. Non possiamo infatti conciliare la lotta contro la cultura maschilista con l’ammirazione e l’emulazione di chi questa cultura la ostenta sfacciatamente, anche vantandosene.

Perché, se questi modelli ci stanno bene, allora non piangiamo Giulia. Sono lacrime da coccodrillo. Se decidiamo invece di cambiare registro, allora scegliamo veri modelli di vita da offrire ai bambini, agli adolescenti e ai giovani in crescita, che purtroppo al momento riconoscono come loro unici “educatori” solo i loro pari e i social da cui sono assolutamente dipendenti e condizionati.

Oggi il Paese intero dice basta alla violenza, a voce alta, con rabbia e con orrore. Ma dobbiamo gridarlo ogni giorno, senza sosta, senza interruzioni. E ognuno deve fare la sua parte, se davvero vogliamo che qualcosa cambi. Mi aspetto l’indignazione di tutti gli uomini, senza ma e senza se. Mi aspetto una più profonda riflessione delle donne, soprattutto delle madri, spesso anch’esse maschiliste, che con le loro scelte quotidiane educano, anche inconsapevolmente, i loro figli a una cultura patriarcale, intrisa di privilegi e di poteri esclusivi riservati ai maschi.


Forse tutto questo sarà possibile quando cominceremo a considerare nostre parenti, sorelle, madri, figlie, mogli, nipoti, amiche, tutte le vittime di questa enorme ecatombe di donne inermi, che a giorni alterni vengono sopraffatte e uccise.

Probabilmente, se cominciassimo a metterci nei panni dei loro familiari, se le piangessimo come si piange un figlio amato che sparisce, allora questa nostra povera incapace società forse sarà in grado anche di fare qualcosa di meglio per proteggere e salvare queste vite.

Commenti

  1. Aurora ha detto bene, davanti al volto sorridente e gentile di Giulia ci vuole silenzio. Ognuno di noi deve riflettere e cercare di portare il proprio contributo con il comportamento, il linguaggio ,ma soprattutto l’ empatia che a mio avviso è una parola troppo utilizzata ma non applicata.Saper cogliere negli amici, conoscenti, vicini di casa ,i segnali di un disagio , un problema ,una richiesta velata di aiuto. Ascoltare la richiesta di aiuto al proprio gruppo sui social da parte di Giulia è agghiacciante ,tristissimo, forse ,ma non ne sono poi così sicura, se lo avesse fatto guardando negli occhi un amico, amica sarebbe stato più efficace, compreso? È una domanda che mi fa male e che non riesco a togliere dalla mente.Si ci vuole il silenzio per meditare su questo dramma.Sandra

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  2. Aurora hai ragione! Ma tale processo di impoverimento culturale che porta alla violenza è iniziato una trentina di anni fa ed ora stiamo raccogliendo i terribili risultati. Grazie per le tue osservazioni. Hai infinite ragioni su Fabrizio Corona, non mi va di parlare poi dei cattivi modelli proposti da politici! Luana Belli

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  3. Carissima Aurora me lo aspettavo questo post nel tuo blog che trattasse questa vicenda così assurda e dolorosa che dice molte verità che soggiacciono, verità non considerate o considerate con superficialità. La società, noi tutti, dobbiamo interrogarci e chiederci: da un lato dove stiamo andando e dall'altro ci stiamo rendendo conto che qualcosa di sbagliato stiamo vivendo, che abbiamo imboccato strade di morte. La vita vale un'emozione. Un'emozione mal compresa, ingigantita e non relativizzata. Mi chiedo che tipo di società e di relazioni stiano consegnando ai giovani i quali sono di una fragilità paurosa, una fragilità e solitudine da non saper gestire emozioni e sentimenti... Mi fa paura tutto ciò. Ma la paura è un'emozione che blocca ed invece qui si deve reagire ma non con le troppe.... tante... chiacchiere di giorni come questi. Quanti sapienti disquisiscono sul "si poteva fare", "si dovrebbe fare" ma poi, finita l'enfasi del momento, non cambia nulla perché c'è poca consapevolezza dei danni etici e sociali che abbiamo e stiamo ancora combinando. Ci vuole un cambio di tendenza, condiviso il più possibile, allargato, facendo appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà... Giuseppe Raciti

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  4. Capisco e condivido appieno il tuo dolore. Giuseppe Savagnone

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  5. Quanto orrore... "Dobbiamo decidere da che parte stare". Daniela Latini

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  6. Profonda Tristezza! Ciao Giulia!
    Fai Rumore in cielo, perché la tua morte darà un senso..... SPERIAMO! Laura Scorcelletti

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  7. Non sono d'accordo per il silenzio. Il silenzio è tacere ed in questo momento, secondo me, bisognerebbe urlare, anche davanti al volto fragile e innocente di Giulia. Un'altra ragazza è scomparsa da quattro giorni da Bustarstizio. Ha vent'anni. Il giorno che è stato fermato l'assassino di Giulia in Germania, una donna di sessantasei anni è stata uccisa dal marito. Nel giro di pochi giorni, ma veramente pochi, le donne uccise sono due probabilmente tre.Un'altra donna solo perché aveva difeso la sorella di Giulia, durante una discussione con il marito, è stata ferita con una coltellata, ed salva perché il figlio ha chiamato il 112. Ecco questo è lo scenario. Questo è il mondo nel quale viviamo.Questo è quello che il benessere ha portato. Non ho idea di cosa bisognerebbe fare, ma di una cosa sono certa, pene più serie, carcere a vita, senza processo, cella d'isolamento. Ecco io la penso così da madre di due ragazze. Francesca Morgia

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  8. Ciao Aurora.
    Non mi sento capace di aggiungere parole a quanto, durante questi giorni passati, è stato detto e scritto su Giulia e sulla sua tristissima fine.
    Questa tragedia ci ha destato da un lungo letargo e sta riportando in piazza migliaia di persone, soprattutto giovani e non solo donne.
    Saremo capaci di mantenere alto il "rumore" sui temi che riguardano i femminicidi o viceversa, come di consueto, ce ne dimenticheremo non appena i riflettori si spegneranno? Carlo Croce

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  9. Inutile sottolineare l'indignazione e lo sconcerto di fronte a questa continua mattanza di donne: mogli, compagne, fidanzate.
    Guardando i volti dei 2 protagonisti dell'ennesima triste vicenda, vedo degli adolescenti immaturi , non vedo due laureati o quasi , pronti ad entrare nel mondo del lavoro e a crearsi una propria famiglia.
    Il volto fa trasparire l'inadeguatezza dell'istruzione ricevuta in tanti anni di scuola, dell'educazione familiare, della rete di amici.
    L' amore è una parola abusata , inflazionata , che si ripete spesso a sproposito e di cui non si conosce il significato autentico.
    Nel nostro mondo scristianizzato c'è una profonda fame di amore che spesso si confonde con il sesso , con l'attrazione di un momento o con i trailer dei film che ci vengono ammanniti in tutte le ore del giorno e della notte.
    Siamo ridotti veramente male e quasi mai vengono presi I provvedimenti giusti , le scelte giuste per avviare una controtendenza del fenomeno che avvelena la nostra quotidianità.
    Salvo Patane '

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