Solo canzonette?

 

16 maggio 2020, Diodato canta all'Arena di Verona, deserta per il Covid

“Ci vorrebbe un miracolo, ma non so proprio a chi chiederlo…”

Così esordisce Diodato in uno dei suoi recenti pezzi inserito nell’album “Così speciale”, catalizzando la nostra attenzione e invitandoci a fermarci e a riflettere su un tema, quello dell'immigrazione, che rimbalza ininterrottamente sulle prime pagine dei quotidiani.

Diodato è uno dei cantautori contemporanei più affermati e amati dal pubblico di ogni età, che non è mai banale nelle sue creazioni artistiche ma ha sempre un messaggio profondo e rilevante da comunicare ai suoi ascoltatori.

Laureato al DAMS (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo) presso l’Università degli Studi Roma Tre, si ispira musicalmente a Modugno, De Andre’, Tenco, creando melodie armoniose e avvolgenti che rimangono subito scolpite nella memoria.


Se volessimo attribuirgli una qualifica per descriverne le peculiarità che lo caratterizzano, potremmo definirla una persona “seria”, che manifesta la sua serietà non solo nel suo atteggiamento timido e da soggetto adulto e pensante, ma anche nel suo approccio impegnato alla vita e alla musica

Dalle sue canzoni è proprio questo che trapela: il suo bisogno di riflettere sulle cose che contano di più e la sua considerazione della musica come veicolo di comunicazione e di denuncia, per lanciare al mondo messaggi importanti e contribuire a cambiare in meglio la realtà, sia sul piano personale che su quello sociale.

La sua notorietà è esplosa al Festival di Sanremo del 2020 da cui è uscito vincitore con l’indimenticabile brano “Fai rumore” che nelle settimane successive, a causa del dilagare del Covid, ha cominciato a risuonare in tutto il suo struggente significato, mentre il silenzio, l’isolamento, la desolazione, il dolore per i numerosi contagi e i troppi decessi stavano risucchiando il Paese dentro un vortice di solitudine e di smarrimento.


Tutte le sue canzoni regalano un messaggio significativo e contagioso che coinvolge emotivamente e razionalmente.

Come quell’altro suo bellissimo pezzo dal titolo “Che vita meravigliosa”, che è un inno alla bellezza della vita, seducente e miracolosa, non ingessata in un cliché, secondo gli standard convenzionali di massa, ma fatta di scelte libere e consapevoli, anche difficili e impegnative, non sempre vincenti, ma che consentono di assaporare la novità e la meraviglia che può nascondersi in ogni cosa, che ti sorprende e ti regala amore ed emozioni, spensieratezza, baci e danze, e che rimane sempre bella, perfino quando è dolorosa e fa piangere.

Diodato ci conferma che la musica vera, anche quella cosiddetta “leggera”, ha il suo “peso” di tematiche e di melodie profonde che penetrano nelle fibre del nostro essere e si incarnano nella quotidianità, come colonna sonora della vita, perché captano le corde del cuore e rimbalzano nello scorrere del tempo all’unisono con i desideri, le preoccupazioni, le aspirazioni di un popolo, e rimangono eterne nella storia.

“Sono solo canzonette”, cantava ironicamente Bennato più di 40 anni fa, eppure quella sua “canzonetta” non ci ha lasciato mai, e ancora oggi dopo decenni in essa ci specchiamo, gridando il malessere di vivere in una società ipocrita, e urlando il nostro bisogno di essere liberi, di poter dire sempre “ciò che ci va”, di sognare e “di volare”


Senza l’ironia di Bennato ma con la sua stessa chiarezza e trasparenza, anche Diodato denuncia attraverso le sue canzoni i malesseri e le contraddizioni del nostro tempo e, dopo avere catalizzato l’attenzione di un intero paese gridando “fai rumore”, nel mare di un silenzio assordante e paralizzante, oggi ci sveglia con un nuovo doloroso e struggente grido: “Ci vorrebbe un miracolo, ma non so proprio a chi chiederlo…”.

E continua: 
Gridano i gabbiani sul cuore di questa città, in questo tempo ferito, da questo strazio infinito…
Sto per naufragare! Vienimi a salvare! Vienici a salvare…”.

Seduto ai bordi di una barca, nel video del brano, è immediato il richiamo alle migliaia di naufraghi abbandonati a se stessi nel Mediterraneo, il cui flusso crescente e ininterrotto non si ferma davanti a nessun governo, a nessun accordo, a nessun finanziamento, e genera ogni giorno sempre più sgomento e disperazione.


Ma quello che Diodato lascia intendere è che tra quei naufraghi ci siamo anche noi, c’è l’intera società che ha smarrito se stessa, che è allo sbando, in crisi profonda di identità e di valori, che non è più in grado di provare emozioni e dolore, che fa dell’indifferenza il paravento dietro cui nascondersi e proteggersi dall’onda d’urto dei mali strazianti del mondo.

Non si possono ascoltare con superficialità queste parole. Non ci si può sottrarre dal sentirsi chiamati in causa, dal riconoscerci anche noi feriti e sfigurati, come chi ha perso la memoria e non ha più coscienza della sua identità.

Il testo aggiunge poi parole tristi di sconsolata constatazione, riferendosi al miracolo: “non so proprio a chi chiederlo”. E ha ragione da vendere. Perché miracoli di questo genere Dio non li farà mai. Un miracolo così può essere solo frutto della nostra sensibilità, della nostra iniziativa, delle politiche degli Stati, di economie di giustizia che rispettino la dignità e i diritti dei popoli, come lo stesso Diodato dirà in una intervista: quel miracolo solo noi possiamo farlo.


Basterebbe cambiare le regole del gioco e non negare più agli eternamente sconfitti del pianeta le stesse opportunità di cui godiamo noi, perché rialzino la testa e siano in grado di costruire il loro futuro. 

Che grande miracolo sarebbe questo: la conversione del cuore dei potenti per dare un nuovo corso al destino della gran parte dell’umanità!

Ma dovremmo realizzare anche in noi questo miracolo di trasformazione, rimettendoci in piedi e ritrovando noi stessi, la nostra umanità, le nostre radici culturali, e soprattutto facendo memoria della nostra storia che purtroppo abbiamo sepolto e dimenticato troppo in fretta!

Commenti

  1. Non stiamo vivendo in un'epoca di cambiamenti ma stiamo assistendo e contribuendo ad " un cambiamento d' epoca" come dice Papa Francesco.
    Il modo di evangelizzare, l'educazione familiare , scolastica che andava bene 20/ 30 anni fa sono superati.
    Non attraggono i nostri giovani e adolescenti. Mentre continua, anzi aumenta la " scristianizzazione " della nostra società, dei cristiani battezzati o anche cresimati o sposati col sacramento dell matrimonio.
    Si vive una relativizzazione dei comportamenti e anche della testimonianza di fede.
    La pratica religiosa è in andamento discendente e solo il Papa riesce ancora a monopolizzare ed entusiasmare ancora grandi folle .
    Bisogna studiare nuovi modi per attrarre le generazioni 3.0 .
    Andare alla scuola del Papa, delle sue esortazioni, delle sue omelie può essere una strada, la strada maestra.

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  2. Grazie Aurora,questa e' proprio la quotidianita' che viviamo, ne parliamo, siamo consapevoli ,ma non riusciamo a risolverla. I nuovi poveri aumentano, per paura di non farcela la nativita' diminuisce e la speranza viene meno....
    Grazie per la sensibilità con cui hai trattato l'argomento, un abbraccio Tina Gentile

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    1. Aurora, come sempre ,hai preso spunto da un cantante di musica “leggera” che poi a ben guardare le parole non lo sono affatto, per farci riflettere.
      I primi che devo cambiare il cuore siamo noi.Grazie
      Sandra

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  3. Grazie cara Aurora delle tue sempre profonde riflessioni su temi sempre diversi ma col denominatore comune della non banalità. Flavia De Giosa

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  4. credo che nessuna musica possa definirsi leggera. La musica infatti trasferisce ciò che sta dentro al musicista che la compone e/o che la esibisce. Che poi piaccia o non piaccia, anche questo dipende dal sentire di chi l'ascolta. Detto questo, cara Aurora, entrando nel cuore di quello che hai detto, come non advenire alla constatazione di quanto vada a rotoli il mondo, di quanto male si sta facendo,al mondo. E la natura, stessa, si sta ribellando. Tutti ci auguriamo la conversione del cuore e delle menti, ma in che modo? Con lo schioccare delle dita? Chi sta nella sala dei bottoni non ha nessuna intenzione di recitare il mea culpa e resettare tutto il male. Manco lo vede il male...crede che sia una questione di fortuna vivere nell'abbondanza e non l'opera del continuo furto perpetrato ai poveri. E noi preghiamo, sì, preghiamo; per la conversione dei cuori , preghiamo! ma se come dicevi tu, Dio questi miracoli non li fa, basta la preghiera? O bisognerebbe sfondare la porta della sala dei bottoni? ( ovviamente l'espressione è figurativa!) Impegnativo, eh? .sopra le nostre forze...e allora , come diceva Troisi" non ci resta che piangere " .Letizia

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  5. Le riflessioni del tuo post, Aurora, rimandano alle drammatiche immagini dei profughi nell'hotspot di Lampedusa! Colmo di 3.800 disperati in cerca di un futuro. E ancora la terribile notizia di un neonato di cinque mesi caduto in mare e annegato. È vero quello che affermi che naufraga con questi fratelli il nostro senso di umanità. Padre Ripamonti, gesuita responsabile del centro Astalli, in un suo recente intervento, ha richiamato la responsabilità dell' Europa ed ha ribadito che non basta cercare di fermare le partenze, serve una visione nuova per farsi carico di questo inarrestabile fenomeno migratorio e che al centro di tutto vanno messe le persone. Grazie Aurora! Perfette le parole delle canzoni che ci fanno pensare! Un abbraccio. Maria Cristina Scorrano

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  6. Il primo commento del 15 set ore 18.15. Sarà scappata la firma.
    Scusatemi. Saluti.
    Salvo Patane '

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