L'ultimo "imperatore"

16 gennaio 2023. Quante orribili notizie si susseguono incalzanti sullo schermo: lo schianto di un aereo in Nepal con nessun sopravvissuto, un sacerdote cattolico bruciato vivo in Nigeria, un attentato dell’Isis in una chiesa del Congo con 10 morti e 30 feriti, decine di donne rapite in Burkina Faso dai jihadisti, un impianto chimico esploso in Cina… Tutti eventi tragici che angosciano il nostro tempo e rabbuiano questo nostro mondo.

Eppure questo giorno rimarrà memorabile nella storia per altro. Perché anche un fatto sensazionale, atteso per lungo tempo e fortemente sperato, è accaduto, così importante da spostare in secondo piano tutto il resto: il super boss Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni di latitanza, è stato catturato.


La gente applaude per strada a Palermo, sorride, si sente sollevata da un macigno, finalmente può sperare e credere nella giustizia!

Mai era accaduta in Sicilia una manifestazione così corale di dissociazione dalla mafia. Tanti anni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, a partire dai giovani e dalle scuole, stanno dando i loro frutti.

Dalle sporadiche lenzuola bianche esposte ai balconi e alle finestre, si è passati oggi alle piazze stracolme di cittadini che manifestano e che chiedono verità e giustizia.


Tante vittime morte ammazzate, tante famiglie traumatizzate dalla violenza spietata e dal dolore, tradite dall’omertà, condannate all’emarginazione, che aspettano da decenni di sapere la verità e di avere giustizia, ora possono sentirsi accompagnate da folle consapevoli di cittadini che gridano contro la mafia e la criminalità a testa alta e con lo sguardo proiettato al futuro.

Tuttavia tante domande, che hanno le loro purtroppo inquietanti risposte, ci lasciano l’amaro in bocca. Certamente gioiamo per questo importante traguardo raggiunto. Ma non esultiamo, non possiamo esultare, perché la mafia è ancora potente, agisce ancora indisturbata in mezzo a noi, i suoi interessi oggi sono giganteschi, più concentrati sugli affari che sulle stragi, gran parte della nostra economia è nelle sue mani, la sua attività va ben oltre il famoso latitante oggi catturato, e la strada per l’affermazione della legalità è ancora molto lunga e piena di ostacoli.

L'eolico nelle mani di Matteo Messina Denaro

Tutti abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene, in questi trent’anni di latitanza, Matteo Messina Denaro, e i fatti che costruiscono la sua storia e la sua identità ci lasciano sorpresi, allibiti e inorriditi.

Innanzitutto il legame con la famiglia di origine. Il padre è Francesco Messina Denaro, detto don Ciccio. Dagli inizi degli anni 80 è capo della cosca di Castelvetrano, fattore delle tenute agricole della famiglia D’Alì, potente famiglia di banchieri e latifondisti, proprietaria della Banca Sicula di Trapani, per anni sede della tesoreria comunale, e delle saline di Trapani e Marsala. Con i D’Alì i Denaro hanno stretti rapporti d’amicizia e d’affari.

Don Ciccio è indagato e dichiarato sorvegliato speciale nel 1990 da Paolo Borsellino, ma è protetto dal tribunale di Trapani. Da quello stesso anno è latitante per sfuggire a un mandato di cattura emesso da Borsellino nei suoi confronti. Muore da latitante nelle campagne di Castelvetrano nel 1998 a causa di un infarto improvviso che lo sorprende, come lui aveva sorpreso tutte le sue vittime, almeno 6. E lascia questo mondo prostrato sulla polvere, nella più completa solitudine. 


Matteo segue fedelmente le orme del padre e alla sua scuola impara una crudeltà ancora più feroce con cui eserciterà il suo ruolo di capo mafia. Già dalla fine degli anni 80 cominciano a piovere su di lui le prime denunce per associazione mafiosa. Affiliato di Totò Riina, è chiamato “la belva” per la brutalità delle esecuzioni che portano la sua firma.

L’incontro a Roma, davanti alla Fontana di Trevi, con Giuseppe Graviano, mafioso del quartiere Brancaccio di Palermo, mandante insieme al fratello Filippo dell’omicidio di Pino Puglisi, sarà organizzato per mettere a punto gli attentati del 1992/93 che spargeranno il terrore e lo sgomento nel Paese.

Ha appena 31 anni nel 1993, quando, come il padre, inizia la sua vita di latitanza per sfuggire al mandato di cattura emesso nei suoi confronti con l’accusa di associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altri reati.

Si sottopone anche a un intervento di chirurgia plastica per nascondere meglio la sua identità.


Quasi coetaneo del palermitano “santo” Biagio Conte, che spende la sua vita per curare le ferite dei poveri, sulla sua coscienza pesano invece, sin da giovane, come macigni, stragi devastanti e decine di omicidi efferati, di cui è stato autore o mandante. Tra questi, per citare solo i più sconcertanti, l’attentato a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino, e la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, dodicenne, sequestrato per più di due anni e poi ucciso e sciolto nell’acido.

Noto a tutti il suo rapporto di antica data con il senatore Antonio D’Alì di Forza Italia, coinvolto nelle indagini per mafia e protetto da tutto il partito, sottosegretario all’Interno nel governo Berlusconi 2001-2006, proprio in quel Ministero che doveva occuparsi della ricerca del boss latitante.

Di un mese fa la notizia della condanna definitiva di Antonio D’Alì a sei anni, per concorso esterno in associazione mafiosa.

Antonio D'Alì al Senato

La collusione col potere mafioso di esponenti di primo piano del mondo della politica, dell’economia e delle istituzioni è stato ed è ancora il cancro devastante che rende impossibile la guarigione del nostro corpo sociale, continuamente martoriato e defraudato della sua linfa vitale e delle sue migliori risorse.

La lunga latitanza di Messina Denaro è stata possibile infatti anche grazie alle tante connivenze con elementi del mondo politico siciliano e nazionale, dell’imprenditoria, ma anche di alcuni membri deviati dei Servizi Segreti e dell’arma dei Carabinieri.

Nel corso di questi tre lunghi decenni, il nostro potente e imprendibile capo mafia non ha mai rinunciato alla sua vita lussuosa, finanziata con i proventi dei suoi giganteschi affari illegali.

È infatti uno dei boss più ricchi del mondo. Il suo patrimonio è stato calcolato in decine di miliardi di euro. Il suo impero di affari, legati al narcotraffico, alle estorsioni, all’edilizia, alle catene di supermercati, all’eolico, al turismo, si espande in mezzo mondo, raggiungendo anche gli Stati Uniti, il Venezuela, il Sudamerica.

Porto di Marsala, Nave trovata con carico di 20 tonnellate di droga, 18 aprile 2013

Da tanti adolescenti del suo paese, e non solo, è ancora oggi considerato purtroppo un mito irraggiungibile da ammirare, invidiare ed emulare.

Studiando il fenomeno mafioso, don Ciotti, fondatore di Libera, si è sempre chiesto come mai una minoranza di cittadini criminali possa tenere in ostaggio un’intera società. La risposta drammatica era per lui sottintesa.

Il trionfo della mafia è dovuto al sostegno omertoso e colluso di larga parte della popolazione locale e di frange delle istituzioni, che hanno vanificato il lavoro di tanti uomini onesti servitori dello Stato. Diversamente, il suo futuro sarebbe stato segnato già da tempo.

Un grande lavoro di squadra è stato fatto comunque negli ultimi decenni da movimenti e associazioni di cittadini e da tante persone di buona volontà, che hanno costruito una rete di iniziative, di idee, di interventi poderosi che hanno spostato le montagne dell’indifferenza e del silenzio.

Determinante è stato il lavoro di don Ciotti e dell’associazione “Libera”, con l’istituzione nel 2017, con voto della Camera dei deputati, della “Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie” che sin dal 1996 si celebra ogni anno il 21 marzo, primo giorno di primavera, giorno di speranza per l’inizio di una vita nuova.

La manifestazione del 2018 a Foggia

Significativo è stato l’impegno delle scuole attraverso il coinvolgimento degli studenti, provenienti da diverse città italiane, accompagnati dai loro docenti, nell’iniziativa delle navi della legalità, promossa in memoria dei giudici Falcone e Borsellino, e vissuta ogni anno il 23 maggio, giorno dell’anniversario della strage mafiosa di Capaci.

E ancora, le continue richieste di giustizia dei familiari delle vittime che non si sono mai rassegnati al silenzio e all’oblio; il coraggio degli imprenditori sempre più numerosi che denunciano il pizzo; il contributo dei collaboratori di giustizia che si dissociano dalla cosca e decidono di rivelare fatti e notizie importanti per le inchieste.

Fondamentale è stata anche la specializzazione della polizia e dell’arma dei carabinieri, a cui va la riconoscenza e il plauso di tutto il Paese.


In particolare il ROS dei Carabinieri che ha messo a punto il piano per l’arresto del boss di Castelvetrano. La sua istituzione affonda le sue radici nel “metodo” di lavoro adottato dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa contro il terrorismo, come ha rivelato nei giorni scorsi lo stesso Comandante del Ros Pasquale Angelosanto, che ne ha così sintetizzato la strategia d’azione: “La sua lezione era fondata su due pilastri: lo studio dei fenomeni e l’attività dinamica di controllo sul territorio».

I cittadini hanno oggi più coraggio nel denunciare perché sono lasciati meno soli, si sentono più protetti, e trovano nelle forze dell’ordine e nelle istituzioni gli interlocutori a cui rivolgersi per sporgere le loro denunce e affidare le loro rivelazioni e testimonianze.

In ritardo è invece la politica, che è spesso ancora troppo collusa con la mafia allo scopo di difendere il suo potere e trovare in essa sostegno a ogni appuntamento elettorale.

Ma sono certa che prima o poi, come sosteneva il giudice Falcone, il fenomeno mafioso sarà estirpato da ogni fibra del tessuto sociale, perché, come ogni altro fenomeno storico, se ha avuto un inizio avrà anche la sua fine.


Vorrei concludere queste mie spontanee considerazioni rivolgendomi con la stessa spontaneità proprio a lui, all’ultimo boss della vecchia mafia che ha fatto tremare mezza Sicilia e ha umiliato l’Italia intera.
Se potessi guardarlo negli occhi e potesse ascoltarmi, gli chiederei: 

Cosa ci hai guadagnato a dedicare tutta la tua esistenza a un progetto di violenza e di morte? Quale gioia ti ha procurato l’accanimento omicida contro tanti innocenti? A cosa ti è servito accumulare tanta ricchezza che non ti sei potuta neanche godere come avresti voluto? Il potere, il delirio di onnipotenza, il patrimonio miliardario che hai accumulato, in cosa hanno reso migliore e invidiabile la tua vita? Avresti potuto permetterti di vivere in una reggia e invece sei stato costretto a nasconderti in un covo come un topo, a camuffare la tua identità rinunciando ai tuoi stessi connotati e al tuo nome,  a limitare la tua libertà fino al punto di rinunciare alle normali relazioni sociali, familiari e affettive, e di non riconoscere neppure la figlia che hai concepito, accontentandoti solo di brandelli di vita. Tutto questo non ti ha mai fatto sospettare che la tua esistenza sia stata un completo e squallido fallimento?


Probabilmente eri ormai stanco della tua inutile e sterile vita, in più umiliata da un killer, un tumore, che non hai potuto soggiogare e uccidere e che ha messo in assedio il tuo corpo e confuso la tua mente. La cattura sarà stata per te una via di liberazione forse e, chissà, anche di pace.

Certo, pentirti adesso, in una cella di un carcere di massima sicurezza, sarebbe troppo facile. Forse la gentilezza di chi ti ha arrestato, senza neppure ammanettarti, susciterà in te qualche domanda. E se il tuo fosse un vero pentimento, potresti, almeno in minima parte, fare pace con te stesso e recuperare qualche briciola della tua coscienza e della tua dignità umana che finora hai calpestato nel fango, sotto le suole delle tue lussuose scarpe firmate.

Perché alla società non potrai mai restituire nulla di quanto le hai ostinatamente sottratto, beni preziosi di gran lunga superiori al valore del tuo ricco e sfarzoso patrimonio.


Perché, le vite che hai falciato senza pietà non potranno ritornare mai più nei loro corpi dilaniati.

Tuttavia, sappi che il loro esempio e la loro eredità non sono mai morti e non moriranno mai. Anzi, al contrario di quanto hai fatto tu in tutta la tua esistenza, il loro sangue, che non ha seminato sete di vendetta e di violenza, ha sparso ovunque semi e frutti di verità, di legalità, di amore per la giustizia, di vero progresso dell’umanità, per tutti, forse anche per te.

Ti auguro di scoprire la verità della tua esistenza, di provare il dolore per il male che hai fatto, di trovare nella verità la libertà interiore e la pace!

Commenti

  1. Bellissime e profonde riflessioni che condivido. La cappa pesante che gravava sul territorio del trapanese lo respiravo anche io trent'anni fa, in occasione di una vacanza a Selinunte e Castelvetrano, luogo di origine della mia fidanzata di allora. Oggi vedo una realtà diversa,dinamica, con una società civile più consapevole. Il problema è proprio nella miopia della politica, incapace di stare al passo dei cittadini e delle loro istanze. Ma Falcone aveva ragione, come tutti i fenomeni umani anche la mafia finirà col tempo.Le istituzioni hanno il compito di togliere ossigeno ai fenomeni malavitosi con misure incisive.Resta la considerazione sul dramma di vite stroncate dal demone del potere che si impossessa degli uomini e li spinge a vivere una vita non degna di questo nome, seminando sofferenza intorno

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  2. Da Salvo Patane '
    " A cosa serve conquistare il mondo se poi perdi la tua vita ! ".
    Mai frase del Vangelo è stata più appropriata come un questo caso!
    Il delitto, la malavita non pagano mai ! Alla lunga ti fanno sentire inutile, ti fanno pentire di essere vissuto.
    Tutto il contrario della vita del fratello Biagio Conte, scomparso da pochi giorni, ma vivo per l'eternità. Grazie al suo amore per gli ultimi, gli scartati dalla società, i diseredati, gli indesiderati , quelli cui nessuno dedica uno sguardo
    un'attenzione.
    Matteo Denaro, ha un'ultima chance per cercare di riparare, almeno in parte, a tutte le malefatte della sua esistenza.
    Dovrebbe confessare di avere sbagliato, chiedere perdono a tutti i danneggiati dalla sua condotta e destinare loro e alla società civile, che combatte il fenomeno mafioso, tutto il suo patrimonio,
    frutto di tanti reati.
    Solo così potrebbe vivere il resto dei suoi giorni con una pena dentro il cuore alleviata da questo scatto finale di presa di coscienza, di responsabilità, di male fatto da cui però potrebbe sorgere una nuova umanità, una nuova civiltà dell'amore!
    Salvo Patane '

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  3. Condivido ogni parola. Troppa connivenza con le istituzioni e con tanto altro. Adesso un altro tassello è stato aggiunto, spero che questo delinquente parli e faccia i nomi dei mandanti delle stragi, che ne sono certa, stanno seduti in parlamento. Francesca Morgia

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  4. Grazie Aurora per questa tua riflessione! È importante che la mafia non abbia il consenso della gente, che le persone siano scese in piazza ad affermare pubblicamente la presa di distanza dal potere mafioso. Certo la mafia, come diceva il giudice Falcone, è un fenomeno umano ha avuto un inizio ed avrà una fine...La sconfitta del potere mafioso potrà avvenire solo se anche la finanza e la politica prenderanno le distanze da questo terribile potere criminale. M.Cristina

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