Riciclo solidale

 


Rovistando periodicamente nel mio guardaroba, per fare un po’ di ordine o per il cambio di stagione, non posso fare a meno di tanto in tanto di eliminare capi d’abbigliamento usurati dal tempo, poco o per nulla usati per anni, o che non corrispondono più ai miei gusti o alla moda.

In questi casi i cassonetti gialli distribuiti in ogni angolo delle città sono di grande aiuto per me e per tutti coloro che hanno il coraggio di buttare cose inutili o sono pressati dalla necessità di svuotare case e armadi.


Ma anche i poveri diventano spesso i destinatari di enormi quantità di indumenti, generalmente in buone condizioni, tramite la Caritas o altre associazioni che si dedicano a chi, in numero sempre più crescente, vive in condizioni di indigenza e di precarietà.

Mi sono sempre chiesta a tal proposito che fine facciano gli abiti “preziosi”, quelli firmati, quelli costosi, quelli eleganti e raffinati, del tutto inadatti ai cassonetti gialli o ai bisogni dei più poveri.


Sono simbolo di lusso, di opulenza, di mondanità, tipici degli standard di vita della società bene, ma anche, se vogliamo, oggetto di desiderio di gente comune che ama l’eleganza e la raffinatezza, e che decide di risparmiare e di mettere da parte il suo gruzzoletto per passarsi il piacere di avere nell’armadio un capo firmato e di valore.

Come disfarsene quando questi articoli hanno stancato o sono caduti in disuso? C’è chi li rivende attraverso le tante catene di mercatini dell’usato che tempestano ormai ogni città e di cui anche il web è diventato un fortunato concorrente, ricavandone tuttavia guadagni irrisori rispetto al loro valore reale e soprattutto all’investimento economico fatto a suo tempo dai rispettivi proprietari.


Con mia grande sorpresa, sono venuta a conoscenza pochi giorni fa di un’iniziativa diversa, molto interessante, altruistica, originale e promettente, che è stata realizzata in Toscana e che vede alleati insieme soggetti diversi ma uniti da una stessa aspirazione: fare qualcosa per gli altri, i più sfortunati e abbandonati, e nello stesso tempo prendersi cura di un bene di valore, regalandogli una seconda vita, e salvandolo dall’oblio e dallo spreco.

L’iniziativa ha tra i suoi protagonisti un parroco “pastore” che è continuamente in cerca del suo popolo, che non sa vivere chiuso in chiesa, fagocitato da carte, bolli, funerali e matrimoni, uno di quei preti allergici alle sagrestie e agli incensi, un uomo dal cuore grande e generoso, che si impolvera le scarpe per camminare e scovare ovunque i più dimenticati da tutti ed emarginati, e offrire loro una speranza.


Don Mauro Frasi è il suo nome, parroco a Montevarchi, cittadina in provincia di Arezzo, che ha trasformato, “scandalosamente” per i ben pensanti, la sua canonica e i locali parrocchiali in un centro di accoglienza per chi è solo, senza casa e senza alcuna prospettiva per il futuro, e che ogni anno sostiene centinaia di poveri grazie alla collaborazione di tanti volontari e al contributo di numerose famiglie del territorio.


Tra i tanti che lo affiancano nella sua impegnativa opera di solidarietà, c’è l'ingegnere Letizia Baldetti, professionalmente impegnata nell'organizzazione di eventi e feste,  che dedica il suo tempo libero al volontariato. 

La sua creatività l'ha spinta a ideare un interessante progetto di vendita di abiti di lusso usati, ma ancora in buono stato, allo scopo di destinare il ricavato ai poveri e divenire così veicolo di promozione umana e di sviluppo sociale. Clothest è il nome del progetto, in inglese “vestito”, e dell’associazione presieduta da don Mauro, appositamente creata per gestire al meglio l’attività.


Circa venti i volontari che si occupano della raccolta degli abiti, della loro selezione e catalogazione e della loro vendita, all’inizio attraverso la piattaforma eBay, ma dalla fine del 2020 tramite l’apposito sito dedicato clothest.it sul quale è possibile sia donare che acquistare.

In pochi anni sono stati già catalogati più di tremila abiti, di cui varie centinaia sono stati venduti.

L’associazione è costruita su idee e obiettivi che sono strettamente legati all'economia circolare e mirano alla riduzione degli sprechi.

Così la fondatrice di Clothest spiega l’origine del suo progetto di solidarietà: “Abbiamo iniziato a riflettere sullo spreco e il concetto di acquisto compulsivo. Abbiamo guardato nei nostri armadi e ci siamo resi conto che erano pieni di capi inutili, abiti acquistati pur non avendone bisogno. Quindi ci siamo interrogati di come poter trasformare quell'inutile spreco in una risorsa".


Un obiettivo dell’associazione per il futuro è quello di costituirsi come impresa sociale e di poter dare lavoro a qualcuno dei destinatari della sua attività.

Conoscendo personalmente da decenni don Mauro, invito chi di voi sta leggendo e potrebbe essere un potenziale donatore o acquirente, a farlo senza timore o diffidenza, perché, vi assicuro, potete fidarvi. I soldi arrivano davvero ai poveri che miglioreranno in questo modo la qualità della loro vita grazie anche al vostro contributo.


Commenti

  1. Bellissima iniziativa.
    Grazie Aurora perché ci fai conoscere situazioni sempre molto interessanti. Filippo Grillo

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  2. L'ideale per evitare ogni tipo di spreco è comprare l'essenziale e con la somma risparmiata impegnarsi a sostenere qualche parrocchia, una o.n.g., adottare a distanza un bimbo.
    Sono tante le possibilità serie e verificabili , di potere utilizzare bene , per gli ultimi, più sofferenti e soli, una parte delle proprie entrate, senza per questo impoverire o rinunciare alle cose più importanti.
    Anche questa è solidarietà, condivisione , prendersi cura del " prossimo" .
    Salvo Patane '

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  3. Bellissima iniziativa quella del riciclo e riutilizzo degli abiti. Conoscevo già la realtà della parrocchia di Montevarchi aperta all’accoglienza degli ultimi.

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  4. Grazie Aurora,una bella iniziativa che merita di essere diffusa.Sandra

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  5. Grazie Aurora per la tua attenzione e la condivisione di iniziative apprezzabili come questa della parrocchia di Montevarchi. Bella testimonianza della "fantasia della carità ". Un abbraccio. Maria Cristina Scorrano

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