Dalla parte dei più poveri



Il Brasile è troppo lontano da noi perché possiamo interessarcene o preoccuparcene.

Le informazioni che ci arrivano dai mezzi di comunicazione sono così limitate e occasionali che non ci permettono di conoscerne la situazione sociale e politica.

L’attenzione dei media infatti è polarizzata ogni giorno su argomenti vacui e irrilevanti, come le ripetitive, estenuanti e morbose inchieste su persone scomparse o uccise, o le mille congetture e polemiche, anche pretestuose, sulla nostra vita politica che intasano i talk show a tutte le ore: aria fritta sul nulla o su temi di alcun rilievo, per aumentare gli ascolti e addormentare i cervelli.

Ma sicuramente non è sfuggito, alle persone più attente e di più elevati interessi, il nuovo appuntamento elettorale che nel mese di ottobre ha coinvolto il Paese e che ha visto fronteggiarsi, in un duello spietato all’ultimo sangue, i due più forti candidati, Bolsonaro e Lula.

Per comprendere tuttavia l’importanza di queste elezioni e il valore della posta in gioco e delle responsabilità di chi dovrà governare questo grande Paese, non possiamo ignorare alcuni aspetti della sua vita sociale ed economica tra i più macroscopici.


Il Brasile è uno Stato sconfinato, con una superficie estesissima, di 8.516.000 kmq, e una popolazione di 214 milioni di abitanti, ma sul 59% del suo territorio si estende la foresta amazzonica, una terra abitata solo dalla minoranza etnica degli Indios.

Il Brasile è la terra delle favelas, le immense baraccopoli che sorgono nelle periferie delle grandi città, dove vivono più di 11 milioni di persone nella più assoluta povertà, in condizioni di degrado e di illegalità, in case costruite spesso con scarti raccolti tra la spazzatura, che vengono frequentemente distrutte dalle piogge torrenziali, causando numerose vittime. 


Il Brasile è la terra dei bambini “di nessuno”, che vivono per strada, che scavano a mani nude nelle discariche in cerca di cibo, che vengono presi di mira da poliziotti e criminali e sparati come conigli, che vengono rapiti per l’espianto di organi, che inalano colle per trovare la forza di sopravvivere, che vengono abusati sessualmente o avviati alla prostituzione, che vengono sfruttati nel lavoro, che vengono venduti dagli stessi genitori per procurarsi cibo o addirittura un televisore.


Il Brasile è la terra dei campesinos, i contadini cacciati dalle loro terre dalle lobby agrarie, proprietarie di immensi latifondi spesso incolti o coltivati da lavoratori sfruttati e ridotti in schiavitù; contadini che non si rassegnano di fronte all’ingiustizia, che pretendono che si attui finalmente la riforma agraria, che lottano per difendere giustamente i loro diritti e rientrare da padroni nelle loro proprietà, realizzando quel progetto di agricoltura familiare ed ecologica che farebbe giustizia alla loro storia e garantirebbe la sicurezza alimentare e la difesa delle risorse naturali.

Il Brasile è anche la terra dell’Amazzonia, il polmone del pianeta, che pezzo dopo pezzo da decenni viene inesorabilmente distrutta e bruciata, per dare spazio a monoculture agricole (soprattutto piantagioni di soia, di canna da zucchero e di mais transgenico) e ad allevamenti intensivi di bestiame, da parte di multinazionali senza scrupoli che hanno a cuore soltanto i loro affari miliardari.


Il Brasile è ancora la terra degli indigeni respinti dai loro territori, da una insana politica di distruzione e di sfruttamento, decimati e privati del loro habitat naturale dal quale traggono tutto il loro sostentamento.

Ma il Brasile è anche la terra della missione a tempo pieno, dove vive un gran numero di missionari cattolici (preti, suore, laici e religiosi) provenienti da ogni parte del mondo, che si pongono a servizio dei più poveri con grande generosità e gratuità, sostenendoli nella difesa dei loro diritti, fino a dare la vita.

Accanto a essi, tuttavia, pullula anche una infinità di comunità evangeliche protestanti che portano avanti una visione di chiesa integralista, spiritualista e miracolista, che rifiutano il dialogo interreligioso ed ecumenico, e che promuovono una evangelizzazione intimista, di indottrinamento e di evasione dalla realtà


La crescita di questi movimenti spirituali, che non si occupano di problemi sociali e di giustizia economica, è un fenomeno proficuo per chi governa e vuole trarre dal suo potere personali vantaggi. Il finanziamento delle loro attività rappresenta dunque una garanzia per il loro indiscusso appoggio politico.

In questa terra così martoriata ma pure ricca di enormi risorse, la sfida tra il presidente uscente e Lula ha rappresentato un’occasione di cambiamento importante e da molti fortemente attesa.

Ma guardiamo da vicino i due principali protagonisti di queste elezioni.


Bolsonaro, attuale premier, al governo dall’1 gennaio 2019 e che concluderà il suo mandato il 31 dicembre 2022, è di origini italiane. 

Militare dell’esercito brasiliano, autoritario, negazionista, inizia la sua carriera politica nel 1988, dopo la caduta della dittatura militare, che ha tenuto in pugno il Paese per più di vent’anni, dall’1 aprile 1964 al 15 marzo 1985.

Non ha mai taciuto la sua stima per il regime militare e la sua sfiducia nella democrazia come via di soluzione dei problemi del Paese.

Si è distinto per le sue scelte a difesa degli interessi economici dei più ricchi, legati ad attività illegali e criminali, come lo sfruttamento della terra, l’allevamento intensivo di bestiame, l’esportazione del legname prezioso, l’estrazione dell’oro dalle miniere clandestine.

È fortemente sostenuto dalle chiese evangeliche, pur essendo lui un cattolico, e da importanti esponenti della finanza e del mondo agrario, che vedono in lui un valido supporto all’evasione dalla legalità e una garanzia per il godimento dei loro privilegi.

Durante il Covid, Bolsonaro è stato accusato di non aver gestito in modo adeguato la pandemia, di avere diffuso notizie false, di avere violato le misure sanitarie e di essere stato pertanto responsabile della morte di 700 mila persone

Pesanti sono anche le accuse sul fronte economico, sociale e politico, per il dilagare della disoccupazione e del lavoro nero, che hanno spinto più di 33 milioni di brasiliani nella più estrema indigenza, in un Paese in cui i poveri sono più della metà della popolazione.


Al ballottaggio è uscito vincente, seppure con un minimo distacco, Luiz Inacio da Silva, avversario dell’attuale premier, ottenendo poco più del 50% dei voti.

Lula è il nomignolo con cui da bambino era chiamato in famiglia e che l’ha reso noto al popolo brasiliano e al mondo intero. 

Dal 1982, quando inizia la sua carriera politica, lo aggiungerà alla sua identità anagrafica per potere essere riconosciuto durante la sua campagna elettorale.

Ex operaio e sindacalista, paladino del popolo, è il primo presidente nella breve storia della democrazia brasiliana ad essere eletto per la terza volta.

Di tutt’altra estrazione sociale e culturale rispetto al premier uscente, Lula, appartiene a una famiglia povera, analfabeta e numerosa

Inizia a lavorare a 12 anni come lustrascarpe e poi come operaio in fabbrica, riprendendo anche gli studi abbandonati da bambino e conseguendo il diploma di scuola superiore.

Dal 1980, in piena dittatura, inizia il suo impegno politico con la fondazione del partito dei lavoratori, di sinistra e progressista.

Diventa Presidente del Brasile nel 2002 e viene riconfermato per un secondo mandato nel 2006.

La sua linea di governo sarà riformista e porrà al centro temi come pensione, tasse, lavoro, giustizia. 

Darà particolare rilievo a progetti sociali come:

il Progetto Fame Zero, con l’intento di promuovere l’agricoltura familiare e risollevare le famiglie dalla povertà;


il Progetto Bolsa Familia che fornisce aiuti finanziari alle famiglie povere che si impegnano a mandare i propri figli a scuola, un progetto elogiato a livello internazionale;


il Sistema Unico di Salute che viene allargato a un più alto numero di cittadini.

Grazie a queste iniziative, milioni di brasiliani hanno migliorato decisamente le loro condizioni di vita, è cresciuto il ceto medio raggiungendo nel 2013 il 54% della popolazione e sottraendo milioni di persone dalla fame e dalla miseria.


Accusato nel 2016 di corruzione e riciclaggio, viene processato e condannato a 12 anni di detenzione. Passerà 20 mesi nel carcere di Curitiba, per essere poi prosciolto nel 2021 da ogni accusa dal Tribunale Supremo Federale che riconosce gravi irregolarità nel processo, l’uso di prove false e parzialità di giudizio.

Potrà così ripresentarsi alle ultime elezioni uscendone vincitore.

Fondamentale è stato a tal fine il potente appello di un gruppo di Vescovi del Brasile, che si definiscono “vescovi del dialogo per il Regno”, che hanno sensibilizzato il popolo ad andare a votale al ballottaggio e a fare una scelta responsabile tra un candidato democratico, a difesa dei poveri, e uno autoritario che promuove una "economia che uccide" (Papa Francesco, Evangelii Gaudium 53).

Nel loro messaggio, i Vescovi denunciano tutti gli aspetti della cattiva politica condotta per quattro anni da Bolsonaro e mettono in guardia gli elettori dalla sua subdola propaganda e dalla strumentalizzazione di Dio e della religione a fini politici ed elettorali.

57^ Assemblea Generale dei Vescovi del Brasile, 12-16 aprile 2021

Nella storia del Brasile le istituzioni religiose hanno avuto sempre un gran peso nella vita politica.

La linea dominante della Chiesa cattolica, purtroppo, è stata quella di appoggio ai regimi militari e autoritari, e di contenimento al cammino della Teologia della Liberazione sorta per la difesa della giustizia e dei diritti dei poveri e degli sfruttati, ma vista come una pericolosa porta d’accesso del comunismo, anche dai due ultimi pontefici che hanno preceduto Francesco.

Il mondo evangelico protestante, dominato soprattutto dai pentecostali, ha avuto invece sempre più incremento e visibilità, garantendo il suo appoggio a quei politici che sostengono economicamente le loro attività. 

Basti pensare che tra i dieci brasiliani più ricchi ci sono due pastori pentecostali. Il primo è conosciuto come Bispo Macedo, proprietario della seconda emittente televisiva più grande del Brasile, e con un patrimonio a suo carico di oltre un miliardo di dollari.

Bispo Macedo, fondatore e leader della Chiesa Universale del Regno di Dio

Un fenomeno questo presente anche nel mondo cattolico, dove emergono soprattutto figure di ricchissimi sacerdoti cantanti, di bella e accattivante presenza, vere pop star della musica, che si esibiscono in locali enormi straripanti di fans, intascando cachet stratosferici per ogni esibizione, e annunciano con la loro musica un Vangelo che sa di sentimentalismo e che spinge all’evasione dai problemi reali del paese, scimmiottando la predicazione degli evangelici.

Il Brasile che oggi Lula è chiamato a governare non è più quello di vent’anni fa: è cresciuta la disuguaglianza, è aumentato il divario tra i più ricchi e i più indigenti, si è affermata una cultura più conservatrice e meno progressista e lo stesso Lula è orientato a una politica moderata più che ad avviare riforme strutturali del Paese. 

Ma sicuramente si schiererà, come ha sempre fatto, dalla parte dei più poveri, per vincere innanzitutto le disuguaglianze e la fame.


Il grande risultato di queste elezioni infatti è stata innanzitutto la vittoria della democrazia sullo schieramento di destra, autoritario e populista, e, insieme alla democrazia, l’affermazione di tutti i valori in essa racchiusi: il progresso, la giustizia sociale, la legalità, la libertà, la difesa dei diritti umani, la lotta al cambiamento climatico, la speranza di un rinnovamento della società nell’ottica dell’inclusione e di una maggiore equità.

L’auspicio di chi ha sostenuto il futuro democratico del Paese, a partire dal rispetto dei diritti dei più poveri, è che Lula possa revocare i decreti ingiusti, fatti dai precedenti governi, contro i lavoratori, i pensionati e gli indigeni, e possa avviare una seria riforma sociale, economica e politica, affrontando anche il problema della proliferazione dei partiti che tengono in ostaggio il governo promettendo il loro appoggio in cambio di posti di potere.

Impresa molto ardua perché dovrà fare i conti con un Parlamento in cui la destra ha la maggioranza dei seggi e un terzo dei deputati è costituito da pastori pentecostali, un dettaglio certamente non di poco conto. 

Il Parlamento brasiliano

Inoltre sarà molto complicato governare un Paese diviso, dove il bolsonarismo è ormai largamente diffuso e radicato nella mentalità e nei costumi di larga parte della popolazione, con posizioni spesso anche più estreme rispetto a quelle dello stesso Bolsonaro.

Lula potrà tuttavia fare leva su altre forze politiche presenti in Parlamento, come i nuovi partiti sociali fondati dalle donne, schierati dalla parte dei diritti umani, politici e civili.

Non sarà per niente facile dialogare con certi interlocutori e ottenere il loro consenso per ricostruire un percorso di giustizia e di equità, ma per fortuna c’è almeno la reale e concreta possibilità di provarci. E non è poco!

Commenti

  1. Sono contento della posizioni a sostegno di Lula di gran parte dei vescovi brasiliani e sono contento che abbia vinto Lula Sicuramente il problema dell'affermazione dei populismi è molto vasto,basta pensare agli Stati Uniti dove il Trampismo non è certo finito, vedi Italia,vedi il ritorno di Netaniau in Israele. Abbiamo una solo ricetta per sconfiggere tali tendenze, che hanno origine nell'io egoico-bellico,che vuole mantenere i propri privilegi evuole creaare steccati con chi è diverso,riappropriarsi di una politica seria che guardi ai più fragili e ai più poveri.Questa è la sfida che ci attende nei prossimi tempi ,sfida che per ora sembra percorrere solo papà Francesco. Ne abbiamo bisogno e anche se non ci sono nel panorama mondiale grandi figure di riferimento dobbiamo custodire in noi fame e sete di giustizia mirio

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  2. Sono stata in Brasile diverse volte e in diversi stati dal nord al sud.
    Il nord-est afferra le viscere con le sue contraddizioni, le sue immense ricchezze, la sua ingiusta povertà.
    Donata ha vissuto nello Stato di Bahia gli anni più belli della sua vita missionaria e del suo servizio ai più poveri e agli ultimi.
    Vivo in Burkina da decenni e faccio quotidianamente i conti con l'essenzialità di una vita ai limiti del possibile, con emergenze le più incredibili, con situazioni inimmaginabili. Eppure, ogni volta che ritornavo dal Brasile dicevo a Donata: non sarei capace di vivere in Brasile, di affrontare e gestire la violenza sociale che esiste nelle città e nei quartieri.
    Ricordo immensi campi coltivati a canna da zucchero, dove girando lo sguardo e chiedendo "lì di chi è", la risposta era sempre la stessa: Donna Cardosa. E della famiglia Cardosa era la fabbrica di zucchero, i camion per il trasporto merci, i bus per il trasporto operai, le case dove alloggiavano gli operai, le boutique alimentari... tutto, anche la vita degli operai che lavoravano a contratto semestrale.
    Lula, votatissimo nel nord-est, provato da ingiusta prigionia, rappresenta ancora una volta, per il terzo mandato, la possibilità democratica di riscatto di un paese ricco impoverito dagli interessi dei proprietari fondiari e delle multinazionali.
    La chiesa in Brasile è sempre stata dalla parte dei poveri e degli ultimi. La teologia della liberazione, silenziata per paura, è il Vangelo fatto storia e che parte dai poveri e incarna il magnificat.
    L'esperienza del Brasile, con i rigurgiti di Bolsonaro che non accetta la sconfitta, la dice lunga sulla mentalità che ha invaso il mondo intero. Grazia Le Mura

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  3. Ci auguriamo che il presidente Lula abbia la possibilità di proseguire nel suo programma e sosteniamo laici e religiosi che affrontano la quotidianità di questa popolazione,(con il loro impegno, e il sostegno economico) che pur vivendo in un territorio ricchissimo di risorse vive nella povertà più nera (come nel Congo). E non ci può essere povertà maggiore di quella che vede i bambini privati della dignità. Letizia

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