Tenerezza e grandezza

 

Vi racconto una storia tenerissima eppure grandiosa, maestosa, gigantesca, per la portata del suo significato e per l’importanza dei suoi protagonisti.

Un tale legge su un quotidiano di rilievo l’intervista a una anziana signora, dalla quale traspare un vissuto di intenso dolore, di estremo coraggio, di impensabile speranza. Ne rimane profondamente colpito e decide così di rintracciarla, andando alla ricerca di un suo contatto, per chiederle la possibilità di un incontro personale

Trovata in lei tanta apertura e disponibilità, fissa un appuntamento, e nel giorno e nell’ora stabilita si presenta alla sua porta.

Lei si avvicina con trepidazione all’uscio di casa e aprendolo si trova davanti proprio quella persona che l’aveva cercata. Incredibile! Non avrebbe mai immaginato che la telefonata ricevuta si sarebbe materializzata davvero in un incontro così ravvicinato. 

Grandissima è la commozione e la gioia di entrambi. Sembra l’incontro tra due persone amiche che si ritrovano dopo anni di lontananza e di attesa, e che istintivamente non possono fare a meno di scambiarsi un lungo caloroso abbraccio, sentito, intenso, vero, pieno di tanta emozione, come si fa tra amici che si comprendono al volo anche senza parlare. Perché non ci sono parole adeguate da dire. Forse solo la luce e i colori sarebbero in gradi di esprimere tali emozioni.


E poi scatta tra loro un’intesa armoniosa e serena,  una comunicazione reciproca che lascia trasparire tanta gentilezza e delicatezza.

Non è una favola. È accaduto tutto realmente, proprio così com’è descritto, un sabato pomeriggio, uno di quei giorni che tutti solitamente riserviamo  all’incontro con gli amici.

Era il 20 febbraio del 2021 e alle ore 16 il suono di quel campanello dà l’avvio a un evento che rimarrà nella storia.

Avrete capito probabilmente di cosa si tratta, avrete intuito l’identità di almeno uno dei protagonisti di questa insolita storia, abituati come siamo ormai alle sue iniziative informali, ai suoi gesti fuori copione, ai suoi sentimenti esibiti senza paura di essere per questo sminuito o declassato nel suo ruolo.

Sì, è proprio lui, Francesco, che usa il telefono senza alcun intermediario, per cercare le persone e incontrarle, presentandosi in modo semplice e diretto a chi sta dall’altra parte del filo: “Sono Francesco”, e inizia subito il dialogo


Ed ecco l’altra protagonista della storia. Una donna ebrea, che ha superato i 90 anni, che ha vissuto sulla sua pelle gli anni più bui e più atroci del '900 e che non ha paura di mettere in fila tutte le sue debolezze e fragilità, quando, ripercorrendo in una sua struggente poesia la sua vita di bambina nata per caso, nata donna, nata povera e per di più ebrea, conclude lapidariamente così il suo ritratto: “troppo in una sola vita!”

Edith Bruck è il suo nome, scrittrice di origini ungheresi, risucchiata nel vortice del male più oscuro all’età di 13 anni, quando la guerra era giunta al suo ultimo anno e Hitler decide follemente di accanirsi contro gli ebrei ungheresi, facendone deportare in soli 3 mesi 438.000, quasi 5.000 al giorno, un’enormità!

Edith Bruck a 10 anni

Nonostante tutto, però, lei non perde mai la luce dei suoi occhi che continua a illuminare il suo giovanissimo volto anche mentre sprofonda sempre più nel baratro del non senso. Ed è proprio questo che la tiene in vita: la capacità di scorgere anche solo un timido raggio di luce, una briciola di sole, nel buio tetro della sua impensabile storia.

Sono i ricordi delle cose piccole ma belle che costellano la sua vita da bambina, paradossalmente anche dentro il lager, che continuano a tenere desta in lei la speranza del domani: il ricordo di una cartolina a colori con una rondine, ricevuta come premio dalla sua maestra; la gioia per una caramella, per una bambola vera, per i nastri rossi le legavano le sue trecce, e che la mamma, anche su quell’orribile carro bestiame del suo ultimo viaggio, continuava a pettinarle con tanta cura e amore; il ricordo del pane impastato solo pochi minuti prima del rastrellamento, e che non è stato mai cotto; la marmellata che un soldato tedesco lascia per lei sul fondo della sua gavetta; il piccolo pettine che le regala il cuoco della cucina dove viene mandata a lavorare…


Non sottovalutiamo la preziosità delle cose piccole e “normali” che potrebbero sembrarci scontate, ovvie, o di nessun valore. Perché l’uomo ha sempre fame di normalità, specie nel dolore, e sono proprio le piccole cose quelle che lo salvano: il sorriso di un bambino, la telefonata di un amico, un fiore che sboccia, un raggio di sole che illumina e scalda.

E tra le speranze che tengono in vita Edith, pur sprofondata nel fango dell’indicibile, c’è anche una promessa che regala a chi non ha avuto la sua stessa fortuna. Una promessa a cui ha mantenuto fede. “Racconta! Non ti crederanno! Ma se tu sopravvivi, racconta, anche per noi!”.

La scrittura e la testimonianza sono da decenni la sua unica ragione di vita. Scrivere, parlare, raccontare ogni dettaglio dei suoi ricordi, al fine di tenere viva la memoria, è l’unica possibilità che le rimane per restituire a milioni d vittime innocenti un briciolo di dignità.


Ed è proprio la sua parola scritta il tramite di questo incontro straordinario e commovente con Francesco.

Vederli insieme, uniti in questo abbraccio sofferto ma liberante, mi ha riportato alla mente l’immagine del samaritano del Vangelo, chino sull’uomo incappato nei briganti.

L’istinto, davanti a questo abbraccio, è quello di fare silenzio ed entrare in sintonia con i sentimenti che lo animano: sentimenti di meraviglia, di riconoscenza, di commozione, di ammirazione, di condivisione del dolore, di rappacificazione.


È un “luogo” sacro questo abbraccio, dove entrare scalzi e in punta di piedi, per rispetto, per consolazione, per una sorta di risarcimento… per non aggiungere dolore al dolore, per usare tutta la delicatezza possibile con cui merita di essere trattato un cuore brutalmente sfregiato e ancora dolorante.

Come l’uomo del Vangelo, anche Edith è stata sorpresa dai briganti, percossa e tramortita dalla loro violenza insensata. È vero, sono passati ormai anni, decenni, siamo giunti ormai in un altro secolo. Ma quelle ferite sono ancora vive, sanguinano, non si potranno mai rimarginare.

E poi, troppi venti di morte continuano a soffiare, come se ciò che è stato non sia ancora sufficiente per poter capire e iniziare a ragionare.

Da allora, tanti passanti hanno transitato lungo la sua strada. Molti si sono fermati, l’hanno soccorsa, amata, consolata, l’hanno aiutata a vivere. Tra questi Nelo Risi, fratello del regista Dini Risi, un uomo speciale, poeta e regista anche lui, conosciuto per caso e divenuto il marito della sua intera esistenza

Edith col marito Nelo Risi, in uno scatto d'epoca 

Sono stati questi gli incontri che le hanno permesso di continuare a vivere. Sopravvivere a tanto dolore infatti non è scontato. C’è chi non ce l’ha fatta. 

Tanti altri passanti però, specie dopo la liberazione, sono andati oltre, si sono girati dall’altra parte, o non si sono neppure accorti della sua presenza sul ciglio della strada, come chi si ritrova in quel luogo “per caso”, per errore, e frettolosamente inverte la sua direzione di marcia o affretta il passo per recuperare il tempo perduto. Troppo indaffarati, troppo pieni di sé, troppo distratti per guardare a un palmo dal loro naso.

Francesco è invece il “samaritano”, non “giudeo” ma straniero, appartenente ad altro popolo e ad altra cultura, che non passa per caso ma bussa volutamente a quella porta, per chinarsi ai piedi di questa donna umiliata, maltrattata, lacerata nei suoi affetti più cari, cresciuta nell’orrore della violenza più brutale e abietta, e per curare le sue ferite.


Innanzitutto con l’abbraccio, le lacrime e il sorriso, gesti semplici, ma sinceri e profondi, che pur senza parole sono capaci di investire l’incontro di una sinfonia di messaggi e di suoni gioiosi e consolatori.

Poi vengono anche le parole: “Sono venuto qui da lei per ringraziarla per la sua testimonianza e per rendere omaggio al popolo martire della pazzia del populismo nazista. E con sincerità le ripeto le parole che ho pronunciato dal cuore allo Yad Vashem e che ripeto davanti a ogni persona che come lei ha sofferto tanto a causa di questo: Perdono, Signore, a nome dell'umanità!”. 

È la richiesta scritta del Papa per il male enorme che si è abbattuto su di lei e sul suo popolo, e che Francesco consegna a Edith come un “regalo”, insieme a una piccola Menorah (candelabro a sette braccia, simbolo della spiritualità ebraica) e a un volume del Talmud (raccolta delle leggi etiche, giuridiche e religiose del giudaismo).


Scriverà di lei: “A volte capita di incontrare persone, è questo il caso della signora Edith, che rivelano di possedere risorse impensabili, una forza che scaturisce non si sa bene da dove e che supera ogni avversità e permette di rimanere umani”.

E alle parole del Papa si uniscono quelle di Edith che è infinitamente grata della visita ricevuta, un’occasione che le conferma la profonda umanità di Francesco. 

E scrivendo alla madre, ridotta cenere, le racconterà così questo incontro: “Accogliendo all’ingresso il papa che si chiama Francesco, accecata dalla sua figura bianca, mamma, ti confesso che ho pianto e ci siamo abbracciati. Se tu ci avessi visti, cos’avresti detto? mi sono chiesta e mi chiedo, e nel nome della verità ti confido, che gli ho dato uno spazio nel mio cuore di ebrea.”

Foto di famiglia di Edith Bruck

“Umanità” è la parola e il tratto che accomuna le due persone e che consente loro di riconoscersi e di costruire insieme un legame saldo ed eterno.

Altri incontri infatti seguono il primo, com’è normale che accada tra vecchi amici, a cominciare dalla visita che Edith ricambia a Francesco a Casa Santa Marta. E poi le pubblicazioni di Edith in cui si intrecciano le sue parole e le sue emozioni a quelle del Papa, come nel suo più recente libro dal titolo “Sono Francesco”, con la prefazione dello stesso pontefice, nel quale racconta questo suo unico e indimenticabile incontro.

Edith Bruck ricambia la visita al Papa a Casa Santa Marta il 27 gennaio 2022

Tante persone hanno provato le stesse emozioni di Edith da quando Francesco ha deciso di stravolgere quel cliché millenario che teneva a distanza di sicurezza il Papa dal suo popolo, sicuramente per proteggere la sua persona da possibili rischi e pericoli, ma soprattutto per una visione “sacrale” del pontefice e del suo ruolo, assolutamente irraggiungibile e indecifrabile, immagine sulla terra di quel mistero intangibile che rappresenta.

Oggi sta diventando una consuetudine vedere un Papa camminare per le strade, entrare in un negozio, telefonare a una persona, fare visita a una famiglia, gesti ordinari di individui normali, che continuano a scandalizzare certe frange di cattolici, e che suscitano grazie a Dio in altre persone tanta ammirazione e compiacimento.

Papa Francesco compra un paio di occhiali

Vogliamo sperare che questo stile di vita rimanga nella storia come dato acquisito, e che non si riduca solo a una parentesi d’eccezione, e dunque al ricordo nostalgico di un Papa originale e unico.

E vogliamo anche augurarci che i suoi tratti possano contagiare di maggiore spirito umanitario questa chiesa, spesso troppo fredda e distante, e questo mondo che diventa sempre più estraneo, inospitale e nemico dell’uomo.

Commenti

  1. Grazie ,Aurora.Leggendo il tuo racconto mi Sono ricordata della profonda emozione che la visita di Papa Francesco ad Edith mi aveva suscitata, c’era scappata anche una lacrima! Due persone umanissime, belle.In quell’abbraccio c’era tutta l’umanità di cui l’uomo è capace e che a volte si dimentica.Sandra

    RispondiElimina
  2. Grazie Aurora, mi domando come mai l'uomo deve toccare il fondo per trovare "la forza della vita"; perché vivo, perché il dolore, perché il male. Sono risposte che non ci può dare il Dio tappabuchi, il Dio onnipotente al quale siamo stati abituati, ma il Dio che si fa compagno di viaggio, cammina insieme a noi e nei momenti difficili ci prende in collo. La sua presenza in noi ci aiuta a capire che noi siamo luce, vita, amore. E questa certezza ci cambia, cambia le nostre relazioni e ci fa apprezzare lo stile di papa Francesco intriso di umanità, misericordia, cura. Stile che stenta a diffondersi nel popolo e nella chiesa. Un abbraccio. Mirio

    RispondiElimina
  3. Ho letto il tuo link e sinceramente mi sono tanto commossa pensando a quei periodi bui tragici e sanguinosi del popolo ebraico. In questi giorni ci stavo pensando anche perché sono rimasta scossa dell'intervista che, poco tempo fa, ha fatto Fazio a Liliana Segre. Questi ha raccontato il suo vissuto, quando da bambina di punto in bianco le dicono: domani niente scuola! Pensa ancora adesso a quel banco vuoto a cui lei teneva tanto e di cui nessuno le spiegava la ragione. E giù di lì tutte le sue peripezie di bambina a cui era negata la normalità.
    Papa Francesco eccezionale, sempre vicino ai deboli, ai sofferenti, a tutti. Grazie Aurora per aver raccontato questa toccante storia. Un abbraccio Tina

    RispondiElimina
  4. Sempre Grazie, carissima Aurora, per come descrivi l' umanità semplice di Papa Francesco sempre vicino ai deboli, ai poveri e ai sofferenti.
    La storia molto umana che hai descritta suscita sentimenti di grande commozione.
    Grazie ancora. Filippo Grillo

    RispondiElimina
  5. Splendido regalo questo articolo, grazie Aurora! Quest'anno in occasione della giornata della Memoria credo che leggerò nelle classi qualche brano dal libro di Edith Bruck "Il pane perduto”, ed. La nave di Teseo,2021. L'ultimo capitolo si intitola "Lettera a Dio", una struggente riflessione sui dubbi della fede in Dio e sul nostro tempo. Maria Cristina Scorrano

    RispondiElimina
  6. Da Salvo Patane'
    Papa Francesco ed Edith Bruck, un'amicizia, una tenerezza che superano le nefandezze della storia.
    Un dialogo fatto di gesti semplici, come le telefonate che il Papa fa a Bruck e mi cui lei gli chiede come sta il suo ginocchio.
    "La Speranza risorge sempre e sempre ci sorprende".
    Lo testimoniano la vita di Edith Bruck, capace si sopravvivere e raccontare i " punti di luce" in uno degli abissi più profondi della storia, e lo stile di un Papa
    che chiede perdono a tutti , per i misfatti di tutti i tempi .
    E insegna all'uomo di oggi che, senza fraternità, non c'è pace e non c'è futuro.
    " Sto davanti all'infinito
    e in questo infinito non mi perdo.
    Mi sento abbracciato e avvolto da una tenerezza immensa.
    Come un bimbo rifugiato nelle braccia della mamma". ( E.Olivero)
    Salvo Patane '

    RispondiElimina
  7. Profondamente commossa per la storia di Edith che tu Aurora hai raccontato con precisione e partecipazione emotiva.
    Grandiosa la figura del Papa che è sempre vicino ai sofferenti, agli emarginati, ai poveri, e si fa piccolo vicino a loro. Mi piace leggere i tuoi articoli perché sono storie originali e raccontate in modo che tutti possano comprendere. Marilia

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Riciclo solidale

Tre anni fa

Solo canzonette?