Insidie nascoste


Dice un antico proverbio: “Ci sono più matti fuori dal manicomio che dentro”. Una battuta che nasconde un fondo di verità. 

In realtà, i pazzi non sono solo quelli dichiarati, ricoverati negli ospedali psichiatrici, o che frequentano i centri di salute mentale. Molti di essi purtroppo stanno in giro per il mondo e sono quelli con cui a volte si è costretti a convivere, che spesso si è obbligati a subire, che molte volte determinano le sorti delle persone, delle società, dei popoli.

Vengono in mente capi di Stato, datori di lavoro, compagni di vita e amanti, educatori e maestri, e persino genitori.


La cronaca è piena di notizie che riguardano soggetti, apparentemente normali, che nascondono gravi disturbi della personalità, che improvvisamente e incontrollatamente vengono a galla, causando eventi gravi e irreversibili.

Ci sono infatti pazzie non certificate e non apertamente intercettabili, e per questo più pericolose.
Perché sono subdole: non le vedi, non le riconosci, e quindi non puoi difenderti né prenderne le distanze.

Come un cancro che ti divora lentamente, senza manifestare sintomi, e quando ti avverte di esserci è troppo tardi!

A volte le “pazzie” vengono erroneamente interpretate come doti eccezionali, straordinarie, più uniche che rare. 

Addirittura possono essere percepite come manifestazioni di santità, di dedizione e di amore per gli altri.

E invece, se si analizzano nel dettaglio, a mente fredda, liberi da condizionamenti e manipolazioni, con la dovuta distanza psicologica, tanti comportamenti appaiono irrazionali, sproporzionati, maniacali, e dunque altamente dannosi e letali, per sé e per gli altri.


Si può vivere accanto a una persona del genere per anni, senza accorgersi della sua vera identità, convinti che sia una fortuna averla incontrata e che l’esperienza che si sta vivendo al suo fianco sia unica e magica.

Tale è l’impronta di eccezionalità, da sentirsi capaci persino di rinunciare alla propria stessa volontà per seguirne le orme, di sacrificare la propria libertà per condividerne le finalità che appaiono grandiose, quasi soprannaturali.

E tutto questo pensando di fare il bene proprio e di contribuire al miglioramento dell’umanità.

Ci sono delle costanti che si ripetono, come un cliché, in molti soggetti.

Basterebbe descriverne solo alcune, quelle più consuete ed evidenti, che si manifestano in comportamenti inequivocabili, per comprendere la serietà e la gravità del problema, lasciando all’esperienza e all’intuito del lettore la possibilità di individuare casi e situazioni concrete a cui associarle.

1. Senso di persecuzione: anziché godere dei doni e del successo delle persone che si hanno a fianco, si guarda alla loro realizzazione con sospetto, si avverte ogni loro espressione come una presenza ingombrante. Ci si sente quindi assediati, sminuiti, schiacciati, adombrati, atteggiamenti che vengono tutti ricondotti alla cosiddetta "sindrome di Procuste".


Gli altri, se dotati di significative capacità e requisiti, se diventano oggetto di stima e di apprezzamento diffuso, vengono visti come dei concorrenti pericolosi, dei rivali fastidiosi, degli ostacoli da rimuovere, da abbattere, allontanare, emarginare, cancellare, occultandone il volto e il nome.

Un comportamento, questo, che a lungo andare non fa altro che creare terra bruciata attorno a sé.

Si rimane soli, in un deserto arido e sterile, dove anche i pochi fili d’erba rimasti sembrano imbalsamati, privi di linfa e di vita propria.

2. Egocentrismo esasperato: si possiede e si coltiva patologicamente, dentro se stessi, la percezione di essere i primi, in un mondo di secondi, terzi e ultimi... Ci si sente dunque incomparabili, irraggiungibili, insuperabili, anche perché sostenuti e nutriti continuamente da applausi, ammirazione, elogi.


A nessuno viene riconosciuto il diritto e neppure la semplice possibilità di ambire ad alti livelli. La ricerca del successo, del plauso, del riconoscimento, della notorietà diventa il vero fine della propria esistenza e rappresenta la vera molla da cui tutto riceve movimento e vita.

Anche l’apparente interesse e amore per gli altri nasconde dietro le quinte l’accarezzamento del più bieco egoismo.

3. Assolutismo: rifiuto ostinato di ogni critica, di ogni visione o proposta integrativa o alternativa, di qualsiasi osservazione che possa mettere in discussione il proprio pensiero, considerato unico e assoluto.


Il confronto con gli altri è una finzione, una pantomima, che ha il solo scopo di offrire all’altro l’illusione di contare qualcosa.

In realtà non si è capaci di abbandonare il proprio punto di vista, né di integrarlo con quello degli altri, e neppure di considerare anche solo l’esistenza di altre possibili prospettive e soluzioni. Ogni decisione presa è un diktat.

Il contributo dell’altro, se non è in linea con il proprio pensiero, è un intralcio, una perdita di tempo, un depistaggio inopportuno e fuorviante, un errore da correggere, una fantasia da scoraggiare, un’allucinazione da curare.

4. Strumentalizzazione: fingere di valorizzare gli altri, per poterli in realtà assoggettare a sé, dominandoli, inglobandoli nella propria sfera di influenza, per servirsene a proprio uso e consumo.


Gli altri sono solo dei corollari della propria esistenza, delle chiose che hanno il solo scopo di delucidare il proprio pensiero, di replicarlo meccanicamente per dargli più lustro e più visibilità.

Anche le loro qualità, doti, capacità, vengono usate e sfruttate per ingigantire la propria immagine, per affermare e ampliare il proprio prestigio, per assicurare a se stessi risultati sempre più promettenti.

5. Ricerca dell’idolatria: farsi servire, ammirare, elogiare, idolatrare come una divinità, ostentando le proprie presunte virtù e ponendosi come modello da imitare e seguire, senza provare per questo alcun imbarazzo, anzi compiacendosene.


“Fate come me” è una delle espressioni ricorrenti nel suo linguaggio, fondata sulla convinzione di essere sempre nel giusto, di fare sempre il bene, di non essere soggetto a errori e cadute.

6. Smania di possesso: quello che si possiede non basta mai. Si ha bisogno continuamente di accumulare, di acquistare, di costruire, di arricchire il proprio patrimonio, di allargare i propri confini, di espandere l’ampiezza del proprio territorio da recintare. 


E tutto questo anche quando è fine a se stesso, non ha una effettiva utilità, è solo la vuota proiezione della propria idea di grandezza e di auto glorificazione.

7. Dicotomia tra essere e apparire: come se esistessero due personalità sovrapposte e complementari, che convivono percorrendo corsie parallele che non si incontrano mai. Una segreta, nascosta, privata, dove tutto è possibile; l’altra esteriore, ufficiale, integerrima, dove governa l'inflessibilità. 


È una sorta di schizofrenia che viene ben camuffata e mimetizzata ma che inevitabilmente prima o poi emerge in tutta la sua verità.


In una certa misura, tutti potremmo sentirci più o meno chiamati in causa da questo severo esame psicanalitico. 

Nessuno è perfetto e, in un modo o in un altro, tutti possiamo peccare di orgoglio, di egoismo, di presunzione, di opportunismo, di bramosia di potere.

Ci sono situazioni, tuttavia, in cui questi comportamenti diventano stili di vita sistematici e permanenti, e per di più, per mancanza di oggettività, non vengono riconosciuti come difetti contro cui combattere e da superare.

Se poi si sommano tutti insieme in una stessa persona, assolutamente incapace di autocritica e di ripensamenti, si determinano dei veri e propri casi seri, deleteri e insidiosi.

Sarebbe necessario individuarli in tempo e prenderne le distanze, per non rimanervi imbrigliati e rischiare di esserne irrimediabilmente fagocitati.

Ma spesso ciò non accade e alle numerose vittime mietute, che non sempre riescono a riconquistare la loro preziosa libertà,  non resta che il rammarico di non aver saputo aprire gli occhi e di non aver capito.






Commenti

  1. Molto giusto e interessante
    Utile per una o più meditazioni

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  2. Ottima analisi che condivido pienamente. Ale

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  3. Quest'argomento mi ricorda " L' elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam. Un riquadro si trovava all' entrata del policlinico , reparto neurologia. In sintesi affermava che non c'è persona più lucida e schietta del cosiddetto" folle" o " pazzo " agli occhi della gente " normale".
    E mi è sempre tornato alla mente tutte le volte che si è parlato di manicomi, di legge Basaglia che ne disciplinava la chiusura, di tutti i metodi disumani usati per " curare" le turbe dell' animo e dell'anima.
    Quante persone " diverse" per ragionamenti e comportamenti hanno pagato con la loro vita o ne hanno vissuta una indegna di essere chiamata tale.
    E la cronaca ,la letteratura, l'arte, il cinema ne hanno fissato per sempre quell'immagine nei nostri occhi e nel nostro cuore.

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