Terrorismo e perdono

 

Luigi Calabresi con la moglie Gemma

Li chiamarono “anni di piombo”, uno dei momenti più bui della nostra democrazia. Il terrorismo, di matrice fascista e comunista, devastava il Paese con attentati continui: 351 i morti tra il 1969 e il 1982.
Gli affiliati, arroganti e ciechi estremisti, pensavano così di cambiare il mondo!

L’attentato alla Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, che ancora oggi dopo 53 anni non ha un colpevole, segna l’inizio di questa guerra oscura.

È in questo clima che si consuma l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, ucciso sotto casa dai terroristi 50 anni fa. Gli sparano alle spalle, mentre sta per entrare nella sua Cinquecento per recarsi al lavoro, alle 9,15 di quel lontano 17 maggio 1972.

Ogni giorno si portava addosso l’odore della morte, di cui avvertiva il presentimento e lo spettro, tanto che, non avendo più parole per difendersi dalle accuse infamanti che gli piovevano continuamente addosso, aveva deciso quella mattina di indossare una cravatta bianca, segno della sua purezza, come rivela la moglie che ricorda ancora oggi le sue ultime parole. 


L'apice di questa campagna persecutoria era stato toccato con la Lettera aperta all'Espresso, del 13 giugno 1971, sul caso Pinelli e contro il commissario Calabresi, a cui avevano aderito nei giorni successivi 757 firmatari,  intellettuali giornalisti e politici. 

L’accusa imbastita sulla sua persona, per la quale fu così brutalmente giustiziato, quella di avere causato la morte del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, caduto dalla finestra del suo ufficio, presso la Questura di Milano, dove veniva interrogato come persona sospetta.

In realtà tra i due non correvano rapporti conflittuali o di astio, ma legami di conoscenza reciproca, maturati nel corso degli anni precedenti. È noto tra l'altro lo scambio di libri che c'era stato tra i due. In occasione del Natale 1968, il commissario regala a Pinelli il libro Mille milioni di uomini, di Enrico Emanuelli, dono che il ferroviere ricambia l'anno seguente con l'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters.

Tre anni dopo l’attentato, con l’inchiesta della magistratura condotta da Gerardo D’Ambrosio, Luigi Calabresi viene completamente scagionato da questa accusa infamante, anche se questo non basta a porre fine all’ondata di sospetti che si era scaraventata su di lui e alla campagna denigratoria che continuava a infangare il suo nome.


Nel 1988, inoltre, grazie alla confessione del pentito Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua, si giunge all’individuazione degli esecutori e dei mandanti dell’omicidio Calabresi, e alla loro condanna nel 1997, dopo un iter processuale lungo, travagliato ed estenuante.

Si può solo immaginare cosa abbia significato tutto questo per i suoi familiari, soprattutto per la moglie Gemma Capra rimasta vedova a soli 25 anni, con due bambini e in attesa del terzo. 

Una vita disintegrata in un solo attimo e sottoposta a un continuo stillicidio nel corso dei decenni successivi.

La vedova Calabresi dovrà aspettare il 14 maggio 2004 per vedere ufficialmente riconosciuto, dopo 32 anni, il valore del sacrificio del marito che aveva donato la vita per lo svolgimento onesto ed eroico della sua professione. 

È questo l’anno in cui il Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi le consegna la medaglia d’oro al valore civile dedicata a Luigi Calabresi, caduto nell’adempimento del servizio per fatti di terrorismo: un momento di grande pace e consolazione per Gemma, che vede finalmente restituita dignità e verità alla figura del marito, dopo lunghi anni di solitudine e di incomprensioni.


Lo scorso 17 maggio, a cinquant’anni dalla tragica scomparsa di Calabresi, è stata commemorata la sua figura di uomo integerrimo, risucchiato da una spirale di odio e di violenza ingiustificata. 

E ancora una volta ci sorprende come, da una storia di odio e di violenza, possa scaturire un messaggio di pace.

Perché, mentre vediamo scorrere alla Tv le immagini dei fatti di sangue di quegli anni ormai lontani, ma sempre vivi nella memoria e nel cuore di chi li ha vissuti da protagonista, scorgiamo oggi anche il volto di una donna forte e libera, dallo sguardo luminoso e sereno, col sorriso sulle labbra, che parla di amore e di perdono.


Abbiamo imparato a conoscerla negli anni grazie alle tante testimonianze rese in vari incontri pubblici o rilasciate ai giornalisti, alle cui domande risponde sempre pacatamente e con una luce negli occhi che la trasfigura, pur lasciando trasparire sempre la sua insaziabile sete di verità e di giustizia.

Le mie origini catanesi mi suggeriscono in proposito un'immagine suggestiva ed eloquente.


Dalla lava, straripante e infuocata, sappiamo che scaturisce solo morte e distruzione. Essa divora qualunque cosa si frapponga lungo il suo cammino. Quando si raffredda e si solidifica, però, da essa germoglia la ginestra, detta anche fiore del deserto, uno dei fiori più belli e più profumati che ci regala gratuitamente la natura.


Così dall’orrore e dalla crudeltà di quegli anni di barbarie è scaturito un dolore indicibile che ha scavato vuoti incolmabili, ma nel tempo è anche fiorito questo animo buono, non vendicativo, capace di perdonare anche il male più efferato e di ricostruire sulle macerie della propria vita un futuro aperto alla speranza.

Sentire parlare proprio lei di perdono lascia interdetti. Umanamente è inspiegabile. Come perdonare una violenza così immotivata e lacerante? Ma è proprio questo il punto di arrivo del suo cammino interiore, fatto nella fede, illuminato dalle parole del vangelo, forse per non morire, certamente per ridare vita, luce e speranza ai suoi figli.

È il perdono al centro della sua storia, raccontata con particolare intensità nel suo libro La crepa e la luce (Mondadori, 03/2022), una testimonianza di dolore, di smarrimento, di annientamento, che parla di memoria e di giustizia, ma che è anche intrisa di amore e di pace.


Non sono solo parole, ma lo specchio della sua esistenza e dei gesti significativi da lei compiuti, come l’incontro al Quirinale con Licia Rognini, vedova di Leonardo Pinelli, il 9 maggio 2009, dopo 40 anni dall’attentato, in occasione del giorno della memoria delle vittime del terrorismo. Gemma le si avvicina sorridendo e le stringe la mano. L’ondata di odio, continuamente alimentata dai media, le aveva tenute irrimediabilmente distanti per decenni.


Il perdono le ha consentito di sopravvivere alla prostrazione, invece di soccombere, e di salvare la sua vita e quella della sua famiglia.

Un dono che le è giunto dall’alto, dice Gemma, perché il perdono è un sentimento e un comportamento sovrumano, che appartiene solo a Dio, e che solo attraverso di lui può raggiungere l’uomo.

Ed è quello che lei ha sperimentato dopo un cammino lungo e doloroso. 

“Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” sono state le ultime parole di Gesù sulla croce, le stesse incise sul necrologio di Luigi Calabresi, le stesse che hanno accompagnato Gemma nel suo percorso, mentre chiedeva a Dio di farle superare i suoi progetti di vendetta e di darle tempo per riuscire un giorno anche lei a perdonare.

Il perdono, dice Gemma, è l’unica strada che può consentire di continuare a vivere in pienezza la propria esistenza, dopo tragedie come questa. 

L’alternativa è il rancore, l’odio, la sete di vendetta, un veleno che uccide lentamente e amplifica il male che si è subito e le sue devastanti conseguenze.

E poi, continua Gemma, in ogni uomo non c’è solo il male che ha compiuto, ma anche il bene di cui è capace, e che sicuramente ha saputo dare alla sua famiglia, ai suoi figli... Ed è su questo che si dovrebbe far leva per spezzare la catena delle violenze e ricostruire un mondo di pace.

Ecco cosa ha maturato questa piccola forte donna nel suo cammino interiore, ecco  cosa ha insegnato ai suoi figli, e cosa insegna anche a noi, oggi, con le sue parole e con la sua vita.






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