La bellezza che ci salva

Tra le bellezze irresistibili che si possono ammirare a Roma, c’è un roseto incantevole, forse poco noto ai turisti che giungono qui da ogni parte del mondo e agli stessi romani.

È il giardino che molti vorrebbero avere a casa, anche solo in miniatura, ma che tutti comunque percepiscono come proprio, per l’accoglienza familiare e gioiosa che riserva a tutti coloro che hanno la fortuna di visitarlo e che riescono a vivere nel suo perimetro qualche ora di spensierata distensione e contemplazione.

Questa meraviglia naturalistica sorge sul colle Aventino, a due passi dalla Metro B, fermata Circo Massimo, e vicinissima al Colosseo. 

Collocato nel cuore del centro storico della capitale, dalla sua postazione è possibile godere un’ampia vista panoramica dei siti archeologici, dei monumenti e degli edifici romani più emblematici e suggestivi, dal Palatino al Foro Romano, dal Vittoriano a Santa Maria in Cosmedin, dalla Sinagoga all’Osservatorio di Monte Mario: uno spettacolo che si offre senza veli agli occhi del visitatore giunto sul posto, che inevitabilmente rimane estasiato e senza parole davanti a tale meraviglia.

Dal roseto, vista del Palatino

È aperto per l’intera giornata, soltanto nei mesi di maggio e ottobre ed è consentito l’ingresso gratuito. Sul sito di Roma capitale il calendario e gli orari di apertura.

Nuclei familiari, gruppi di amici, comitive turistiche, coppie di innamorati trovano qui il posto ideale in cui trascorrere pause rigeneranti contro il tran tran della vita quotidiana, un luogo in cui dialogare e assaporare la bellezza delle relazioni umane, abbracciati da una natura che regala luce e serenità.

Ne abbiamo tutti estremo bisogno, specie quando la città col suo caos sfiancante rischia di fagocitare ogni risorsa ed energia.


Chi lavora a Roma sa cosa vuol dire correre da un estremo all’altro della città, incalzati dalla fretta, stressati dagli ingorghi, divisi tra mille impegni che si intrecciano e complicano la vita.

Ricordo ancora i primi giorni vissuti in questa caotica metropoli, in stato confusionale, quasi in coma. 

Per me, che avevo vissuto cinque anni a Trento e sette anni a Pisa, due piccole città-salotto dove la vita scorre fin troppo tranquilla, al ritmo delle pedalate in bicicletta, questo passaggio è stato traumatico e debilitante.

Le distanze dilatate, i rumori assordanti, le grandi arterie stradali, in qualche tratto anche a quattro o sei corsie, il traffico costantemente congestionato, l’imbottigliamento sul Grande Raccordo Anulare che improvvisamente intrappola gli automobilisti in blocchi della circolazione a tempo indeterminato... tutto mi faceva sentire come presa in ostaggio, prigioniera di un meccanismo inarrestabile e logorante.


Tante volte ho desiderato di fuggire da questa trappola e di ritornare a vivere in una delle tante oasi di cui è disseminato il nostro bel Paese.

Ci sono volute alcune settimane per ambientarmi e riuscire a sopravvivere, senza avvertire più così traumaticamente l’impatto con la grande città. 

Per fortuna l’essere umano ha una innata capacità di adattamento.

Ambienti e situazioni inizialmente ostili possono col tempo trasformarsi in habitat naturali, man mano che, sorprendentemente, si sviluppano nel proprio corpo nuove energie e crescono gli antidoti e le difese necessarie contro pericoli e ostacoli di ogni genere.

Così la grande città, e Roma in particolare, diventa anche una felice opportunità che offre mille soluzioni e preziose possibilità per ogni tipo di interesse.

A maggior ragione quando, finalmente in pensione, ci si può godere in pienezza la propria libertà e vivere da turisti permanenti il resto della propria esistenza, come sta accadendo a me.


A ogni età, comunque, dovremmo riuscire a ritagliarci momenti di ristoro per ossigenare la mente e i polmoni: è una necessità e un bisogno vitale, oltre che uno svago e un piacere.


E il roseto comunale di Roma offre a piene mani questa possibilità.

Da poco meno di un secolo impreziosisce la città con le sue molteplici qualità di rose, dai colori più vari e dai profumi delicatissimi. 

Ma fin dal III secolo a. C. il luogo era riservato ai fiori. Qui infatti sorgeva un tempio dedicato alla dea Flora, i cui festeggiamenti si svolgevano in primavera al Circo Massimo.

È suddiviso in due settori da via di Valle Murcia: uno, in basso, più piccolo, dedicato ai concorsi indetti ogni anno per le nuove varietà di rose, create e inviate qui da tutto il mondo, dove possono essere ammirate tutte le rose vincitrici di concorso dal 1933 a oggi; l’altro, in alto, più esteso, dove è possibile seguire l’evoluzione della rosa dall’antichità all’età contemporanea.


Qui infatti sono ospitate tre collezioni di rose, catalogate in rose botaniche, rose antiche e rose moderne, provenienti da ogni Paese: Estremo Oriente, Sud Africa, Nuova Zelanda, America, Europa, Cina, Mongolia.

Le rose moderne, nate all’inizio del 1800, tramite l’ibridazione con le rose cinesi, hanno soppiantato le precedenti collezioni (rose botaniche e antiche) che conservano pertanto particolare importanza e valore.

Originariamente il roseto sorgeva al Colle Oppio, nei pressi del Colosseo, dove viene creato nel 1931 su iniziativa di una Contessa di origini americane, Mary Gailey Senni.

Durante la seconda guerra mondiale viene distrutto e ricostruito nel 1950 sull’Aventino, su un territorio precedentemente occupato dal cimitero ebraico, che, in accordo con la comunità ebraica, viene trasferito al Verano.

Una documentazione della precedente destinazione del terreno la si può riscontrate nella struttura dei vialetti del settore delle collezioni, che ricalcano la forma di un candelabro a sette braccia, la famosa menorah, simbolo tipico della cultura e della religiosità ebraica.


Un numero inverosimile di qualità di rose, circa 1.100, sfilano davanti allo sguardo incantato dei visitatori, quasi tutte a cespuglio, ma tantissime anche rampicanti, a spalliera o inerpicate lungo archi o altre strutture decorative, come il cuore da cui ci si può affacciare per uno sguardo al panorama o dal quale farsi incorniciare per una romantica foto ricordo.




Tra le rose più originali, si possono scorgere la rosa dai petali verdi, scientificamente detta rosa Chinensis Virdiflora;


la rosa Chinensis Mutabilis, che cambia 7 volte colore con lo scorrere dei giorni: dal rosso del bocciolo, all’arancione del fiore appena sbocciato, che diventa poi giallo, crema, rosa chiaro, rosa intenso e infine cremisi;


la rosa Foetida persiana, maleodorante, nonostante la sua avvenente bellezza;


la rosa Omeiensis Pteracantha Lutea, una rosa botanica cinese, dalle spine a forma di ala, rosse e trasparenti nei rami ancora teneri.


Tra le rose antiche scorgiamo quelle Damascene, che fiorivano a Paestum e Pompei;


e le rose Galliche, sacre ai persiani, le uniche rose rosse nell’antichità.


E sorprendentemente, specie in questo particolare momento storico, ci imbattiamo anche in alcune rose che hanno un legame con la guerra.

Quella dedicata alla Guerra delle due rose, combattuta nel XV secolo dalle due famiglie che si contendono il trono, i Lancaster e gli York, e che per più di 30 anni insanguina l’Inghilterra.

Questa rosa, quando è in boccio, è rossa, del colore dei Lancaster, ma quando sboccia è bianca, del colore degli York.


E c’è perfino una rosa chiamata “Peace”, simbolo della pace.

Creata in Francia allo scoppio della II Guerra Mondiale, viene inviata in Italia, in Germania e negli Stati Uniti, prima della chiusura delle frontiere francesi. In America, alla fine della guerra, questa rosa orna i tavoli dove si svolgono le trattative di Pace della Conferenza di San Francisco. 

In Italia è chiamata rosa "Gioia".


Potremmo forse ricorrere anche noi oggi a questa rosa, così simbolicamente significativa, per dare consistenza ai timidi desideri di pace tra Russia e Ucraina?

Magari bastasse una rosa per far tacere le armi!

E se unissimo alla rosa anche una canzone, usando magari le note dei Giganti del lontano 1967?

“Mettete dei fiori nei vostri cannoni perché non vogliamo mai nel cielo molecole malate ma note musicali che formino gli accordi per una ballata di pace!”.

Almeno si potrebbe provare!

Commenti

  1. Grazie Aurora per queste pennellate di bellezza, colore e vivacità. In diverse città italiane vi sono cuori pulsanti di bellezza naturale che pochi conoscono, a volte sono ahimé abbandonati a se stessi e poco curati, altre volte diventano luoghi di ritrovo per malaffari. Eppure tutti noi abbiamo bisogno della natura perché una gemma, un bocciolo, un fiore... sono capaci di toccare le corde del cuore e far provare emozioni inedite. Mi commuovo quando nella terra arida del mio Burkina germogliano i fiori di arancio o quando i fiori spuntano tra le rocce. Grazia Le Mura

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