Il silenzio grande

 


“Il silenzio grande” è il titolo dell’ultimo film di Alessandro Gassman, tratto dall'omonimo romanzo teatrale di Maurizio de Giovanni, e fruibile sulla piattaforma Prime di Amazon; un film che, appena finito, ti viene la voglia di rivedere, per coglierne tutte le sfumature, alla luce della conclusione a sorpresa che la pellicola regala allo spettatore e che non rivelo, insieme ad altri significativi particolari, per rispetto nei confronti di chi non l'ha ancora visto. 

Protagonisti del film sono i componenti di una famiglia: il padre, Valerio Primic (Massimiliano Gallo) scrittore affermato e di grande successo; la madre, Rose (Margherita Buy) e i due figli, Adele (Antonia Fotaras) e Massimiliano (Emanuele Linfatti). Completa il nucleo familiare la governante, Bettina (Marina Confalone), che nello svolgimento dei fatti riveste un ruolo centrale.


Il tema attorno a cui sembra ruotare la trama del film è la decisione di mettere in vendita la casa, Villa Primic, abitazione di prestigio con vista su Capri, ma ormai segnata dal tempo, per far fronte ai debiti e alle tasse che ogni giorno si accumulano e che la famiglia non sa come sostenere, dal momento che Valerio Primic non riesce più a produrre nessun romanzo.

In realtà, sono le relazioni tra le persone, le difficoltà che sperimentano nella comunicazione a occupare tutta scena,  mentre gli spazi dell’abitazione, quasi unici luoghi delle riprese, ne costruiscono solo lo sfondo, la scenografia, come una sorta di palcoscenico, sul quale si muovono i diversi personaggi di un’opera teatrale. È questa infatti l’impressione che si ha guardando il film: assistere a una rappresentazione scenica che si svolge sul palco di un teatro, piuttosto che a delle riprese cinematografiche, in continuità con lo stile del romanzo a cui si ispira.

Le relazioni tra i componenti della famiglia Primic sono complicate, difficili, pervase da un silenzio antico, pesante e persistente, che impedisce alle persone di incontrarsi realmente, di comunicare, di conoscersi, di interagire, di comprendersi.  

È come se gli anni avessero scavato tra esse un abisso di incomunicabilità, a causa di un continuo rimandare il momento della chiarificazione, dell’esternazione del proprio pensiero. Una sfiducia profonda nelle possibilità del dialogo, evitato in sul nascere, sembra avere congelato le relazioni reciproche per anni, abbandonandole all’impotenza e alla rinuncia.

La figura paterna ha a riguardo il grosso delle responsabilità ed è sulla sua persona che nel film si costruisce una sorta di “processo al padre”


È lui il punto debole della famiglia. Non basta infatti essere colti, istruiti, scrittori affermati, paradossalmente persino cultori della parola, per rendersi conto di quanto male possa fare il silenzio, di come possa uccidere l’amore, la fantasia, la gioia, la vita, facendo tutt’intorno terra bruciata, e scavando tra le persone distanze sempre più incolmabili.

Il dialogo, del resto, non nasce dalla penna, dall’abilità di usare le parole, ma dal cuore

Quando scrivere diventa una forma di culto di se stessi, di vanagloria e di auto glorificazione, come nel caso di Valerio, e non uno strumento di incontro con gli altri, le parole perdono quasi la loro funzione, fino a diventare lo specchio sul quale riflettere la propria immagine per compiacersene narcisisticamente. 

Valerio non ha mai saputo ascoltare i suoi cari, non ha mai avuto tempo per loro, le loro irruzioni nel suo studio sono state sempre un disturbo per la sua concentrazione, i libri e la sua macchina da scrivere sono stati da sempre i suoi interlocutori preferiti, il successo e la carriera sono stati i suoi unici obiettivi. 


Per i suoi figli egli è stato un padre troppo ingombrante, sebbene assente dalla loro vita. Un padre famoso mette in ombra l’esistenza dei figli che si sentono sempre impari, inadeguati, incapaci di raggiungere i traguardi ambiziosi da lui sognati e pretesi. Ogni altra persona, inoltre, agli occhi dei figli apparirà insignificante al confronto col proprio genitore che vede come un gigante che occupa tutta la scena.

Bettina, al contrario di Valerio, con la sua formazione da popolana non istruita, sa cogliere meglio del suo padrone ciò che più conta nella vita, e riesce a fare una diagnosi precisa del malessere che pervade la quotidianità della famiglia Primic, mettendo lo scrittore di fronte alle sue responsabilità e alle sue omissioni e spingendolo a chiedersi: “In che cosa avrei sbagliato?”.


Il silenzio, secondo la domestica, è stato il suo peccato originale, un silenzio che negli anni si è fatto sempre più grande e sempre più incolmabile, un silenzio che ha sempre preferito al dialogo che ha rimandato continuamente al domani, ma che alla fine non è mai affiorato sulle sue labbra. 

È questo il "silenzio grande" che dà il titolo al film. Un silenzio grande  fatto di tanti piccoli silenzi, che a lungo andare ha chiuso la bocca di Valerio per sempre, diventando come dice Bettina “una malattia”: "Il silenzio è una brutta malattia. Voi l’avete presa senza accorgervene.  Comincia piano e poi cresce, come una specie di muro. Le cose che non si dicono si sommano. Il silenzio piccolo è quando si pensa: meglio che mi sto zitto. Tanti silenzi piccoli fanno un silenzio grande, enorme. Il silenzio grande fa paura a sentirlo”.

I due figli gli rimproverano la sua totale assenza, il non avere avuto mai bisogno di loro; ma anche l'eccessiva invadenza della sua immagine, la sua inevitabile notorietà che ha reso difficile il loro percorso. Alla fine però riescono a prendere l’iniziativa e a colmare la distanza che li separa da lui, aprendo il loro cuore senza remore, esternando verità scottanti che generalmente si è restii a rivelare, e ricucendo una relazione che, alla fine si comprende, è sostenuta dal desiderio profondo di amore e di fiducia reciproca.


Grazie alla loro iniziativa, quello studio tanto amato e odiato allo stesso tempo, diventa il loro confessionale, dove aprire il loro cuore e confessare le verità più scomode e sofferte.

Così anche Rosein quello studio dal quale Valerio non esce mai, gli rimprovera con amarezza di non avere avuto mai tempo per i suoi figli e di avere vissuto tutta la vita solo per i suoi libri. 

Essa, all’apparenza distante anni luce dal marito e insensibile di fronte al distacco da quella casa dove aveva vissuto tutta una vita, rivela tuttavia il suo profondo attaccamento a piccoli dettagli del suo passato associati a luoghi precisi dell’abitazione che sta per lasciare. 


In particolare è significativa la cura che riserva a un bonsai rinsecchito che alla fine però, miracolosamente, ricomincia a produrre nuovi germogli. Come le relazioni tra le persone che si amano: basta poco per farle nuovamente germogliare di vita nuova. 

È questa la sola risposta sensata alla domanda che si pone Rose concludendo uno dei suoi sfoghi amari davanti al marito: "Ma allora, a cosa serve voler bene?". Appunto a questo: a saper cogliere, anche nell'aridità della propria esistenza, quel piccolo gesto d'amore da cui ripartire per ricominciare a costruire una vita nuova, aperta alla speranza.


Sicuramente tutti sapremo cogliere in questo film spunti preziosi per riflettere e analizzare criticamente le nostre relazioni con gli altri.


Il silenzio che caratterizza la famiglia Primic pervade anche i nostri ambienti di vita. In molte famiglie, in molti posti di lavoro, in molte comunità religiose, invece del dialogo e dell’ascolto reciproco, governano il sospetto, il rancore, il pregiudizio, l’incomunicabilità.


Dialogare è un bisogno insopprimibile di ogni persona ma è anche un'arte da imparare e a cui educarsi ogni giorno. E, poiché si costruisce nella reciprocità, esige sempre un concorso di intenti e di iniziative da mettere continuamente in atto, molte volte anche con fatica e sacrificio.

Ma, pur di essere protagonisti e partecipi di questo miracolo,  vale davvero la pena provarci

 


Commenti

  1. Tina
    Penso sia un libro proprio da leggere per analizzare il nostro mondo interiore e relazionarlo agli altri. Tutti con i piccoli e grandi silenzi ,dovuti anche alle nostre indecisioni,abbiamo commesso degli errori....ma non è mai troppo tardi per riparare.
    Non vedo l ora di leggerlo. Grazie

    RispondiElimina
  2. Grazie. Non ho letto il romanzo e non ho visto il film, ma ti dirò mi hai fatto venire una gran voglia di vedere il film e di leggere il libro. Il silenzio è funzionale al dialogo ed è il sale delle relazioni: è come la pausa nella musica, serve a dare vigore alle note, alle parole. Ma c'è anche un silenzio che uccide quando è chiusura, ripiegamento su se stessi, taglio di quel filo rosso che ci lega all'altro. Il silenzio leggero lega le parole e le persone, il silenzio pesante mortifica e crea abissi. Grazia Le Mura

    RispondiElimina
  3. grazie per il suggerimento, il tema è molto attuale .Penso che il silenzio possa essere talvolta utile per fare chiarezza in noi stessi, per provare a disintossicarci dal continuo parlarsi addosso nel talk show ,ma all'interno di una famiglia se diventa cronico può creare fossati invalicabili.
    La mia nonna materna diceva sempre che in famiglia non si deve chiudere mai la porta al dialogo.
    Cercherò questo film anche perchè sono curiosa della conclusione.

    RispondiElimina
  4. Ciao Aurora, avevo letto, giorni a dietro, il tuo bellissimo post, ma ho ritenuto doveroso vedere il film prima di commentare e ne è valsa la pena, è un capolavoro di cinematografia e introspezione.
    La scena è essenziale ed eloquente e, come hai fatto notare, scorre, teatralmente, in unità di tempo, luogo e azione.
    Lo spettatore è condotto per mano nell’agghiacciante tema del silenzio, narrato come processo inizialmente innescato e, successivamente, incontrollabile.
    Ad emozioni non partecipate,
    particolari tralasciati, apparentemente non incisivi, pare si siano susseguiti ripetuti “non detti”, finché, gonfio di tanti piccoli silenzi archiviati, un bel giorno il fiume sarebbe straripato, coprendo la casa di un grande silenzio.
    L’assenza di scambio verbale tra moglie e marito è in pesante contrasto con i profondi e frequenti dialoghi tra quest’ultimo e la governante, della quale si apprezza la singolare dote maieutica.
    Auspichiamo, a fiato sospeso, che, da qualche parte, giunga uno slancio d’apertura, un gesto concludente ed efficace, volto a interrompere questo silenzio.
    Ma ecco il colpo di scena: trattasi di un silenzio involontario e, per ciò stesso, ingovernabile, di un subdolo intruso che la fa da padrone e dinnanzi al quale si rimane impotenti.
    Il risvolto drammatico inibisce ogni slancio, lasciando posto alla mera percezione di piccoli segni, volti a colmare il vuoto di gesti non più attuati e di parole definitivamente omesse ...
    Una percezione che è proporzionale al grado d’amore preesistente e al grado di resistenza di quell’amore alle intemperie del tempo ...
    L’alternativa è ritrovarsi soli, sovrastati dal silenzio grande...
    Fatto pochino “spoiler”?!
    Grazie per lo spunto prezioso!
    A presto.
    😘
    Alida

    RispondiElimina
  5. Ho visto il film a casa sul network, circa un mese fa. Questo silenzio grande "parla" o addirittura" grida" più di tante parole. Aiuta a riflettere sulla essenzialità del dialogo in famiglia come in ognialtro ambito.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Riciclo solidale

Tre anni fa

Solo canzonette?