Terza età

 

Il tempo passa inesorabile. Un giorno dopo l’altro, un mese dopo l’altro... Vedi scorrere davanti ai tuoi occhi gli anni, i decenni, tutta una vita! E gradualmente ti adatti alla realtà in continua evoluzione, fino a che un giorno ti accorgi di toccare anche tu quel traguardo che una volta ti sembrava lontanissimo!

È vero che il tempo, man mano che passa, ti arricchisce di sempre nuove esperienze che ti forgiano e ti fanno crescere, rendendoti una persona adulta. Ma c’è un momento in cui lo si vorrebbe fermare o almeno rallentarne la corsa, perché lo vediamo sfuggirci dalle mani sempre più velocemente.

Quando si è giovani ci si sente detentori dell’eterna giovinezza. Si guarda agli adulti con distacco, come se fossero dei “matusalemme”, distanti da sé anni luce. Chi è più saggio, scoprendo le rughe sul volto degli altri, riflette sul proprio futuro, pensando che il tempo passa per tutti allo stesso modo e che tutti prima o poi, salvo incidenti di percorso, raggiungeremo quel traguardo.

La cultura contemporanea non aiuta a vivere con serenità questo passaggio. L’invecchiamento fa paura. L’istinto più naturale è quello di nasconderne i segni appena incipienti, di camuffare la realtà, per apparire sempre giovani. Perché è difficile accettarsi “diversi” quando ci si guarda allo specchio.

Sono pochi coloro che manifestano serenità e sicurezza, nonostante i segni del tempo che marcano i lineamenti. Ricordo spesso la grande Anna Magnani che diceva al suo truccatore: “Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C’ho messo una vita a farmele!”.

Tanti personaggi, uomini e donne, che lavorano nel cinema, nello spettacolo, in televisione, o che conducono una vita pubblica nel mondo della politica, della cultura, della moda, dello sport ... si sottopongono sistematicamente a interventi di chirurgia estetica che non sempre purtroppo migliorano il loro aspetto.

Anzi, a lungo andare, il loro aspetto diventa inguardabile. Il volto liscio, gonfio, gli occhi rimpiccioliti, la pelle tesa e poco elastica che deforma le espressioni naturali nell’atto del sorridere, del parlare: sono tutti dettagli che non destano in chi li osserva compiacimento ma spingono piuttosto a distogliere lo sguardo da un oggetto per nulla attraente.

Un novantenne che si sottopone a trattamenti del genere impensierisce e suscita non poche perplessità. Sembra a volte di trovarsi di fronte a “imbalsamati” ambulanti...

Credo a questo punto che anche la stessa parola “estetica” rischia di perdere il suo significato, perché di “estetico” in questi casi non c’è davvero nulla, se è vero, come spiega il vocabolario della lingua italiana, che il termine "estetica" significa “avvenenza, bellezza” (cf. Lo Zingarelli).

A volte, certi interventi cambiano addirittura i connotati della persona, fino a renderla irriconoscibile. 

Senza parlare poi dell’aspetto economico. Molta gente comune, che decide di imboccare questa strada, è disposta anche a indebitarsi pur di perseguire il suo obiettivo, anche perché il primo intervento non è mai un episodio isolato e unico, ma richiederà nel corso degli anni sempre nuovi ritocchi “migliorativi”.

Sappiamo bene, inoltre, che nessun ritocco potrà mai fermare il declino biologico del nostro corpo, che i nostri organi, i nostri muscoli, la nostra pelle continueranno ad essere interessati comunque da quel processo degenerativo che è iscritto nella natura. 

Dunque, è solo un'illusione l'eterna giovinezza, e paradossale il persistere in questo intento. È come imbiancare continuamente le pareti esterne di una casa che nasconde dentro di sé il disfacimento e lo sgretolamento delle sue strutture.

Dovremmo recuperare forse un po’ di saggezza, accettando l’invecchiamento come momento naturale della nostra esistenza, imparando a convivere con serenità con le trasformazioni del nostro corpo.

Si può vivere con gioia e con un pizzico di ironia la terza e anche la quarta età, salvaguardando la nostra salute, che è la vera sostanza della nostra vita, molto più di ogni eccessiva attenzione alle apparenze.

Commenti

  1. RAGIONAMENTO SUL SIGNIFICATO CHE L’UOMO CONFERISCE AL TEMPO
    Non si può parlare del tempo se non lo si conosce. Si rischia di assumere sui suoi reconditi significati posizioni pericolose che insidiano la serenità dell’animale uomo e ne straziano l’anima. La mente umana non può capire cos’è il tempo. La maledetta coscienza umana, ossia la capacità di memoria, di analisi, di confronto, di costruzione, di intraprendenza, per dire solo alcune delle capacità che rendono in parte l’uomo diverso da ogni altro animale, crea nella mente convinzioni fantasiose e vi attribuisce significati ed etichette. Tutte cose che ne modificano la sostanza e che confondono la realtà facendola apparire differente da quello che il Mondo-Universo ha stabilito fin dai primordi dovesse essere.
    L’Universo è materia inerte, arida e fredda, è anche magma incandescente sempre vivo per miliardi, miliardi e miliardi di anni, è magnetismo, è elettricità, è buco nero. L’universo è anche spazio infinito la cui misura segue il ritmo delle leggi scoperte/supposte da Einstein e più semplicemente da Fibonacci, misura che mal si adatta al significato che l’uomo, nella sua piccolezza e nella sua limitata esperienza di terrestre, suole darvi. Il binomio spazio-tempo induce indubbiamente a considerazioni che non possono essere ignorate dalla coscienza umana. La presenza della vita vegetale ed animale sulla Terra è un infinitesimo incidente che non modifica le leggi stabili che regolano gli equilibri dell’Universo. Quindi, è necessario meditare sul fatto che le variabili spazio e tempo, prese in assoluto nella loro effimera funzione universale, non incidono sul destino, né sulla coscienza di alcuno, perché l’Universo stesso, essendo privo di intelligenza, non ha previsto che organismi esterni ad esso ne valutino i comportamenti e ne giudichino la compatibilità: ogni fenomeno avviene in modo casuale, senza obiettivi, né programmi.

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  2. (questo commento è la continuazione di quello precedente, pubblicato qui a causa delle limitazioni impote dal blog)
    Altra cosa diventa il tempo se rapportato alla vicenda umana. Mentre l’animale è parte dell’Universo in una forma che ne imita le leggi e l’equilibrio, al tempo stesso anticipa una sorta di attività motoria che va ad incidere con l’immobilità apparente della materia inerte, in una misura davvero limitata ed insignificante, ma riscontrabile ed effettiva. L’uomo, a sua volta, travalica le misere capacità animali, senza altri limiti se non quelli della gravità e dell’energia vitale che ne condizionano e limitano il campo d’azione rispetto a quello del pensiero che, differentemente da quello animale, spazia, prevede, presume, ragiona, decide, cambia, crea, distrugge, desidera, persegue, attua. Queste capacità speciali, comuni solo ai soggetti appartenenti alla specie umana, nell’ansia di interpretare l’esistenza sul filo dell’esperienza e della costante aspirazione a migliorare il rapporto con la materia inerte, configurano scenari creati dalla mente e ideano prodotti la cui realizzazione richiede il concorso di più soggetti, al punto che il raggiungimento del fine, può essere conseguito anche da altri soggetti diversi dagli ispiratori, essendo probabile che i primari ideatori del progetto siano venuti a mancare. All’apice delle considerazioni esposte troviamo allora, necessariamente, i concetti di vita e di morte, anzi di nascita, crescita, riproduzione e morte, con l’orpello inscindibile del tempo che sembra dominare questa ”catena di montaggio” fino a nascondere del tutto i concetti fondamentali della fisica e della chimica secondo i quali nell’Universo la vita non esiste e nello spazio siderale nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Infatti ogni fenomeno avviene in una apparente immobilità che non è vita, non è morte e non ha alcuna fretta o interesse a raggiungere obiettivi o conseguire traguardi prima o dopo di altri. Per cui, anche il tempo che per l’insignificante umanità terrestre è un nemico implacabile che evoca orpelli indesiderati quali la vecchiezza che porta con sé impotenza, rinuncia, abbandono, incapacità e morte, appare come un nemico implacabile che provoca illusioni e infligge delusioni. Concetti questi partoriti dalla mente umana, sconosciuti all’Universo ed alla materia inerte per la quale il tempo non esiste.

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  3. (questa è invece è la terza parte del commento che precede il precedente, qui posto per gli stessi motivi)
    Appare, in conclusione, necessario spiegare che il tempo è un’unità di misura creata dagli uomini per spiegare e soddisfare l’esigenza dell’alfa (α) e dell’omega (Ω), la prima e l’ultima lettera dell’antico alfabeto greco, due simboli coi quali si rappresenta il nodo gordiano del principio e della fine. Principio e fine la cui funzione dovrebbe essere quella di rappresentare esclusivamente il fenomeno della vita in quanto costretto a compiersi entro gli invalicabili confini della nascita e della morte, riferite ad un singolo individuo, che sia esso animale, vegetale o umano. Una visione questa del tutto volutamente limitata, ad uso e consumo delle teorie religiose già presenti nella dimensione ancestrale dell’intelletto umano, alle quali ogni essere umano prima o poi ricorre per dissetare l’arsura del suo intelletto che spazia e corre senza porsi dei limiti e perciò stesso non accetta di essere invece, proprio lui, vittima predesignata di un destino fatale e immodificabile. Per cui, contrariamente all’evidente manifestarsi delle leggi della fisica e della chimica che inesorabilmente governano l’Universo, la materia amorfa ed insensibile dispersa armonicamente nel cosmo deve necessariamente essere stata creata dal nulla da un’entità divina dalle forme e dai comportamenti che sfuggono però ad ogni interpretazione che l’intelletto umano verrebbe conferirle.
    La capacità illimitata degli esseri umani di proiettare il pensiero e l’intelletto oltre ogni possibile confine immaginabile, ne condiziona le azioni, i convincimenti e le aspettative, genera in lui sensazioni e sentimenti apparentemente impalpabili, ma in realtà riscontrabili nei comportamenti e nelle espressioni vocali, quali la paura, lo smarrimento, la speranza, l’amore, l’odio, la gioia, l’esultanza, il pianto, il riso, il dolore, il lamento, che confondono e concatenano per osmosi spirito e materia, pensiero e corpo, fantasia e realtà, spazio celeste e aspettative, fede religiosa e diuturno scorrere della vicenda personale, traendone l’impressione che qualcosa di ignoto e di sovrumano sovrasti e governi i fenomeni fisici del pianeta Terra, nonché gli accadimenti globali governati dall’uomo, in un simbiotico gomitolo inestricabile che condiziona e decide il destino di ciascuno e la mutazione della materia terrestre.

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  4. (con questa quarta parte dovremmo aver pubblicato il commento per intero)
    Ci sono soggetti che resistono a questi richiami provenienti da inesistenti simulacri di sirene e che sono capaci di governare con saggezza ciò che ricade nella loro sfera di influenza. Poi ci sono moltissime altre tipologie di soggetti. Da questi ci si può attendere ogni genere di anomalia, dalla stupidità alla pazzia, in una teoria variegata di espressioni la cui sola catalogazione sarebbe forse impossibile. Da questo pericoloso coacervo di soggetti in vario modo pensanti ed agenti derivano fatti e conseguenza, il più delle volte catastrofici, che noi chiamiamo Storia. A margine di questo inferno fatto di guerre, invasioni, emigrazioni, carestie, schiavitù, oppressione, sfruttamento, partigianeria politica, pretesa superiorità di pensiero e di azione, rimane isolata e malvista quella categoria di soggetti “illuminati” di cui si è detto prima, che la Storia suole “liberare” in ritardo dal limbo in cui Papi, Imperatori e Dittatori l’aveva costretta, confinata, reclusa e talvolta assassinata. Cito con rispetto e contrizione alcuni nomi prestigiosi di Campioni della correttezza mondiale e del buonsenso produttivo di bene, perseguitati, imprigionati, giustiziati, costretti al suicidio o semplicemente osteggiati, beffati e derisi: Socrate, Ipazia di Alessandria, Galileo Galilei, Giordano Bruno, Savonarola, Giovanna D’Arco, Vanini, Pietro d’Abano, Miguel Servet, Garcia de Orta, Campanella, George Stephenson, Nikola Tesla, il Dr. Wilhelm Reich (teorico dell’ “orgone” che scopro adesso essere precursore in misura lata di alcuni concetti qui avanzati da me), Pierluigi Inghina, il dott. Ryke Geerd Hammer (teologo e medico contemporaneo), e tanti, tanti, tanti, tanti altri ancora.

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