Il coraggio di vivere


Ci sono situazioni in cui è richiesto molto coraggio per vivere, e chi riesce a trovarlo merita tutta la considerazione e l’ammirazione possibile.

La sofferenza fisica, la disabilità grave, rientrano in questi casi. 

In tali situazioni credo che il primo istinto sia il rifiuto del dolore, il desiderio di scomparire, di cancellare la propria esistenza. 

Ogni vicenda è un caso a se stante. Non ci sono cliché. Ogni persona risponde a suo modo a prove difficili, che si possono definire senza esagerare “sovrumane” e che richiedono un vero e proprio eroismo nell’affrontarle, lo stesso eroismo del martirio, che conduce, oserei dire, per strade diverse alla santità. 

E quando si riesce a trovare dentro di sé le risorse per sostenerne il peso, quando si riesce a intravedere anche solo un flebile spiraglio, attraverso cui farsi illuminare da un raggio di luce, ecco avverarsi un miracolo: si comincia a trovare un punto di appoggio per sollevare il mondo, un motivo per una nuova ripartenza, per una nuova nascita, per una nuova vita.

Mi sono sorpresa spesso a elaborare queste riflessioni nei giorni delle paralimpiadi, assistendo agli sforzi titanici di giovani che, nonostante le gravissime disabilità, hanno raggiunto traguardi impensabili. 


Ho gioito con loro nel vedere i loro volti radiosi mentre baciavano le meritatissime medaglie di cui sono stati insigniti. E hanno confermato più volte in me il convincimento di quanto sia importante ricominciare sempre, guardando avanti, piuttosto che piangersi addosso.


Recentemente mi sono imbattuta in una storia che ha dell’incredibile, potremmo definirla una missione impossibile. Il protagonista è un giornalista e scrittore francese affermato, direttore capo della rivista di moda femminile Elle, Jean-Dominique Bauby (1952-1997). 


L’8 dicembre 1995 all’età di 43 anni, mentre era alla guida della sua nuova auto in compagnia di uno dei suoi bambini, viene colpito da un ictus. Sarebbe morto, se non fosse stato soccorso e curato. Le nuove tecniche di rianimazione gli hanno consentito di sopravvivere, ma in condizioni penose. Lui stesso dirà, con l'ironia che lo contraddistingue: "Il progresso delle tecniche di rianimazione ha reso più sofisticata la punizione".

Al risveglio dal coma, dopo 20 giorni, scopre infatti di essere completamente paralizzato e di disporre soltanto del controllo della sua palpebra sinistra. 

La sindrome da cui  rimane colpito è chiamata dai medici "locked-in" (chiuso dentro, bloccato), un termine che inevitabilmente ci riporta col pensiero alla pesante recente esperienza del lokdown, da tutti mal sopportata, ma neppure lontanamente paragonabile alle conseguenze di questa sindrome. 


Il mondo gli crolla addosso. A cosa sarebbe servito vivere? Si era ridotto a una nullità. L’immobilità assoluta, l’impossibilità di comunicare i suoi pensieri e i suoi sentimenti, lo privavano della sua identità di persona e lo rendevano un "oggetto" di commiserazione e di pietà.

Tuttavia, nel profondo della sua interiorità, col passare dei giorni, avviene in lui una grande trasformazione che lo porterà a una nuova autocoscienza: "Mi serviva la luce della mia infermità per vedere la mia vera natura".

Si accorge di avere ancora dentro di sé, nonostante tutto, una grande ricchezza: l'immaginazione e la memoria. Ed esse diventeranno la sua forza per vivere e per dare un senso ad ogni nuovo giorno.


Grazie all’assistenza e alla vicinanza amorevole di molte persone e ad una particolare tecnica di "dettatura" dei suoi pensieri, che gli servirà anche per comunicare con gli altri, riuscirà a scrivere un libro in cui racconta la sua storia, le sue sensazioni, i suoi sentimenti, la sua disperazione, ma anche le sue aspettative, le sue speranze, il futuro che con la sua viva immaginazione riesce a sognare.

Sarà prezioso, nella realizzazione di questo complesso progetto, l’aiuto di una redattrice che il suo editore, Claude Mendibil, metterà a sua disposizione, e che con infinita pazienza trascriverà sotto "dettatura" dell’autore, lettera per lettera, giorno dopo giorno, le pagine di questo libro.


La tecnica seguita, infatti, richiedeva la lettura delle lettere dell’alfabeto, secondo l’ordine del loro maggiore utilizzo (E, S, A, R, I, N, T …), da parte della redattrice e la chiusura della palpebra da parte dello scrittore che indicava in questo modo, di volta in volta, la lettera da scrivere.

Un lavoro immane anche per Jean-Dominique Bauby, sostenuto da una grande forza d’animo, da tanta tenacia e pazienza, dall’accettazione dei suoi grossi limiti, oltre che dalla capacità di guardare sempre oltre, di intravedere sempre un orizzonte luminoso al di là delle tenebre.

Il volume, intitolato Lo scafandro e la farfalla, sarà pubblicato 10 giorni prima della sua morte, avvenuta per un arresto cardiaco il 9 marzo 1997.

I capitoli che si susseguono intrecciano i ricordi del passato alle condizioni che lo imprigionano nel presente, come dentro uno scafandro. Da questo confronto nasce in lui la consapevolezza che la sua vita è stata un fallimento: quante le occasioni che non è stato in grado di cogliere, quanti i momenti di felicità che non ha saputo valorizzare, quante iniziative che avrebbe potuto prendere e ha trascurato, quanto tempo ha sprecato e perduto irrimediabilmente. 

Da questa nuova consapevolezza, tuttavia, non nasce in lui la disperazione, ma la voglia di sognare ancora e di volare libero con i suoi sogni come una farfalla, per comunicare agli altri la scoperta di questo suo nuovo mondo interiore.

Dieci anni dopo, il suo libro ispirerà il film, dallo stesso titolo, del regista Julian Schnabel,  premiato a Cannes come miglior regista. 


Un libro prezioso, dunque, da leggere e da meditare, per imparare tutti a vivere meglio e a valorizzare al massimo i doni preziosi che ci sono stati affidati, invece di sciuparli o di buttarli via. 

Spesso, infatti, apprezziamo il valore delle possibilità di cui godiamo solo quando ne veniamo privati. A cominciare dal dono di aprire gli occhi ogni giorno, di metterci in piedi, di camminare, di parlare, di incontrare gli altri.

A un giornalista che gli chiedeva: "Ha voglia di dire qualcosa alle persone che si muovono", Jean-Dominique Bauby rispondeva così: "Continuate. Ma fate attenzione a non essere divorati dalla vostra agitazione. Anche l’immobilità è fonte di gioia."

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