Sebastião Salgado

 

Sebastião Salgado 


Dall'1 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022 si svolgerà al MAXXI di Roma una mostra da non perdere, dedicata al celebre fotografo brasiliano Sebastião Salgado, che esporrà più di 200 opere, tutte foto in bianco e nero, realizzate negli ultimi sei anni, che ritraggono quel che rimane intatto della foresta amazzonica, i suoi fiumi, le sue montagne, i suoi abitanti, allo scopo di sensibilizzare l’Italia sui problemi ambientali e la questione ecologica. 




Il contesto suggestivo nel quale saranno collocate le foto richiamerà l’ambiente che ritraggono, con i suoni della foresta, il fruscio degli alberi, lo scorrere delle acque, il canto degli uccelli, le voci degli animali. 




Salgado non è un fotografo qualunque. La maggior parte della sua attività è una sorta di denuncia, con tanto di documentazione fotografica, dunque  assolutamente attendibile, di ogni forma di ingiustizia e di sofferenza che si consuma nel mondo davanti agli occhi insensibili e indifferenti di tutti, specie di chi avrebbe il potere di intervenire per cambiare il corso degli eventi.

Almeno nessuno potrà dire di non aver saputo…


Salgado non nasconde di avere tante volte lasciato l’obiettivo della sua macchina fotografica per piangere sul dolore senza misura di cui era, suo malgrado, testimone. 


L’opera di Salgado è stata ultimamente divulgata soprattutto attraverso il famoso film-documentario Il sale della terra del 2014 realizzato dal regista Wim Wenders e dal figlio dell’artista Juliano Ribeiro Salgado, fruibile sulla piattaforma Prime Video di Amazon.


Impressionante il suo reportage (1986-1991) sulla miniera d’oro di Serra Pelada in Brasile, dove una massa di 50.000 persone, desiderosa di arricchirsi, sceglie liberamente di “tuffarsi” in una pericolosissima discesa, per caricarsi di sacchi di fango, nella speranza di trovarvi dentro un chilo d’oro.





Così come quello realizzato in Kuwait dove bruciano, per ordine di Saddam Hussein, 500 pozzi di petrolio, deturpando l'ambiente e ostruendo totalmente il passaggio della luce del sole. 


Ma le tragedie umanitarie delle guerre e della fame, documentate da Il sale della terra, sono quelle che paralizzano lo spettatore. La voce fuori campo di Salgado, a un certo punto, commenta: “Tutti devono vedere con i propri occhi l’orrore della nostra specie”. 


Chi ha avuto la possibilità di guardare il filmato non potrà mai dimenticarlo, per la sofferenza di tanta parte dell’umanità che ritrae, per l’umiliazione di tante popolazioni perseguitate, massacrate, abbandonate al loro destino di inedia, di violenza e di morte. 


A partire dagli anni 70, Salgado, laureato in Economia, lascia il Brasile e il suo regime militare e si trasferisce in Europa con la moglie Lelia. Da qui inizierà una nuova vita, da viaggiatore, esploratore, fotografo dell’umanità. Attraversa diversi paesi dell’America Latina, dell’Africa, dell’Europa, per documentare con i suoi reportage usi e costumi di molti popoli, ma anche tragedie immani dell’umanità, a cui assiste impotente e incredulo, e che lo segneranno interiormente. 



Ne cito solo alcune, perché sarebbe troppo lungo l’elenco: la fame e il colera nel Sahel (1984-1986); i campi di rifugiati in Etiopia e il grande esodo verso il Sudan, attraverso il deserto, con la morte in massa di queste popolazioni ridotte a scheletri umani (1984); il genocidio del Ruanda (1994), l’esodo dei Tutsi verso la Tanzania con 150 km di morti lungo la strada e la tendopoli nella savana con un milione di persone, e poi l’esodo degli Hutu in Congo con la morte per colera di più di 12.000 persone al giorno; la guerra nella ex Jugoslavia (1994-1995), con la sua ferocia ingiustificata, i campi dei rifugiati in Bosnia, con migliaia di donne, vecchi e bambini, perché gli uomini per lo più sono stati assassinati.


In ognuno di questi drammi  Salgado si è immerso con partecipazione ed empatia, non da curioso fotografo, spettatore di fatti che non lo riguardano, ma da membro di un’umanità ferita e angosciata, che stenta a credere ai suoi occhi, e commenta: “Gli esseri umani sono molto feroci, di una violenza estrema; la nostra è una storia di guerre senza fine, che mescola repressione e follia”.



Una nota di pura armonia attraversa comunque la vita di Salgado, che gli ha dato la forza di andare avanti nonostante tutto: la sua famiglia e soprattutto la relazione con la moglie, Lelia, che sposerà alla fine degli anni 60 e con la quale condividerà ogni frammento della sua vita, pur vivendo lontano da lei per anni interi, durante le sue  innumerevoli trasferte per lavoro. 



Con lei condividerà tutti i suoi progetti fotografici, anzi sarà lei stessa la sua ispiratrice, creativa e lungimirante: una bella testimonianza di intesa e di amore coniugale, per la quale il lavoro e la distanza non hanno mai rappresentato un ostacolo alla relazione, ma sono diventati anzi il terreno fertile di un progetto di vita che ha abbracciato il mondo intero e l’umanità.


L’ultima tappa della loro storia: il ritorno in Brasile, la “ricreazione” della foresta pluviale sparita dalla fazenda di famiglia, ridotta a terra arida, divenuta oggi parco nazionale con oltre 2 milioni e mezzo di alberi e mille sorgenti d’acqua, e un nuovo progetto fotografico, Genesis, dedicato alle bellezze della natura e agli animali, un omaggio al pianeta, per non dimenticare che il male non è una fatalità e che il bene possiamo sempre costruirlo, se lo vogliamo.




Commenti

  1. Le foto di Salgado ti colpiscono, inquietano, interrogano.
    Sono bellissime per la loro esecuzione ,ma spesso terribili per quello che ci mostrano. Hanno una dote, secondo me, veramente bella mostrano sempre la grande empatia ed umanità che ha il fotografo con ciò che immortala.

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