Percorsi di un nuovo incontro



Il percorso che Papa Francesco traccia nel settimo capitolo di Fratelli tutti, indispensabile per dare un nuovo volto all’umanità e garantirle un futuro, è segnato da quattro pietre miliari: la verità, la pace, il perdono, la memoria.

La verità 
Bisogna innanzitutto “partire dalla verità, chiara e nuda” (226). Solo riconoscendo la verità storica dei fatti si può giungere alla riconciliazione e al perdono. 
Non bastano “gli accordi di pace sulla carta” (226).

È necessario che “le famiglie distrutte dal dolore” sappiano cosa “è successo ai loro parenti scomparsi”; è necessario che sia svelata la verità sui “minori reclutati dagli operatori di violenza”, sulle “donne vittime di violenza e di abusi” (227).


La pace
E' sulla verità che si fonda la pace. Costruire la pace è un lavoro artigianale che coinvolge molte persone, istituzioni comprese, e che impegna tutti coloro che vogliono perseguire lo stesso obiettivo: scegliere “il primato della ragione sulla vendetta” (231). 

Tutti possono portare il loro contributo, anche chi ha sbagliato e “ha agito male” (228). L’importante è che la nuova società sia fondata sul servizio agli altri, sulla condivisione di ciò che si possiede, sulla priorità dello stare insieme come popolo piuttosto che come gruppo minore (229).

Per superare ciò che divide, è necessario scoprire il valore dell’appartenenza, del sentirsi a casa propria, come accade all’interno di una stessa famiglia, dove, benché si possa litigare, ciascun membro ritrova sempre la possibilità della riconciliazione e la stabilità dei legami familiari (230).


La costruzione della pace non ha mai fine ed esige che si superino gli ostacoli e le differenze di vedute, favorendo la cultura dell’incontro e privilegiando la centralità della persona umana.

La violenza non porta alla soluzione dei problemi e spesso è prodotta da manipolazioni e strumentalizzazioni politiche (232).

È necessario inoltre tenere conto delle esigenze dei più poveri, del disprezzo di cui sono stati spesso oggetto, della mancanza di inclusione sociale, delle loro giuste rivendicazioni (234). L’inequità non può mai generare pace (235).

Il perdono
Molti non credono nel valore della riconciliazione e del perdono. Pensano che sia normale la presenza dei conflitti nella società; oppure hanno paura che, perdonando, altri possano prendere il sopravvento; c’è poi anche chi ritiene che il perdono sia la scelta dei deboli (236).

Il Vangelo invita al perdono e rifiuta la violenza, ma queste convinzioni spesso sono fraintese e si pensa che possano alimentare fatalismo e inerzia (237-238).
Quando Gesù dice “non sono venuto a portare la pace sulla terra ma la spada” (Mt 10,...) non vuole incitare alla violenza ma esortare alla fedeltà alla propria scelta evangelica, anche di fronte alle contrarietà. Tuttavia, rispetto a certi conflitti sociali, il cristiano deve anche saper “prendere posizione con decisione e coerenza” (240).

Chi perdona non può per questo rinunciare ai propri diritti. Amare non vuol dire consentire che un oppressore rimanga tale, ma fare di tutto perché perda questo potere (241).

Superare le tante ingiustizie subite non è per niente facile, ma solo il bene può sconfiggere il male. La bontà è la vera forza che cambia il mondo e le relazioni, non la vendetta (243).


“Quel giudizio duro che porto nel cuore contro mio fratello o mia sorella, quella ferita non curata, quel male non terminato, quel rancore che mi farà solo male, è un pezzetto di guerra che porti dentro, è un focolaio nel cuore, da spegnere perché non divampi in un incendio” (ib.).

Il superamento dei conflitti non si raggiunge col silenzio ma col confronto aperto tra le parti e ponendosi “su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto” (245).

La memoria
Il perdono non comporta il dimenticare. Ci sono ferite profonde che non potranno mai essere cancellate e di cui occorre fare memoria, “testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde” ma anche la forza di coloro che sono stati capaci di ricostruire la loro vita e recuperare la loro dignità, poiché “fa molto bene fare memoria del bene” (249). 

Anche se il male più oscuro non può essere mai dimenticato, né negato o relativizzato, né tollerato o scusato, tuttavia può essere perdonato, con un moto libero e sincero del cuore, riflesso del perdono immenso e gratuito di Dio (250).

“Quanti perdonano davvero, non dimenticano, ma rinunciano a essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male” (251). 

Chi ha fatto nella sua vita questa esperienza capisce in profondità il senso di queste parole. Penso, per fare solo un esempio, a Gemma Capra, moglie del commissario Luigi Calabresi, rimasta a soli 26 anni vedova, con due bambini e in attesa del suo terzo figlio, e che è sopravvissuta al dolore perdonando gli assassini del marito, continuando pur sempre a lottare per la verità e la giustizia.

Luigi e Gemma Calabresi nel 1972

Perdonare non vuol dire però rinunciare alla necessità che la giustizia faccia il suo corso, “per rispetto delle vittime, per prevenire nuovi crimini e tutelare il bene comune “ (251).

Ci sono poi casi in cui le ingiustizie sono state provocate da entrambe le parti ed è giusto che si faccia memoria di tutte le sofferenze, perché “ogni vittima innocente (merita) il medesimo rispetto “ (253). Sono, queste, parole dei vescovi della Croazia che Papa Francesco cita in proposito. E sappiamo bene cosa sia stata negli anni 90 la guerra nella ex Iugoslavia e le sue conseguenze.

Ma dobbiamo chiedere, come fa il Papa, un aiuto dall’alto, perché solo la misericordia di Dio può sanare e guarire le ferite profonde di tanti errori (254).

Il capitolo si conclude con uno sguardo attento a due “situazioni estreme” che danno false risposte ai problemi, in quanto aggiungono solo nuova distruzione all’umanità: la guerra e la pena di morte.

La guerra
“La guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante” (256). La Carta delle Nazioni Unite è un punto di riferimento fondamentale per garantire la giustizia e la pace, ma è necessario che non vengano mascherate le “intenzioni illegittime” ricorrendo alle norme solo quando sono favorevoli ai più forti ed eludendole in caso contrario, danneggiando i più deboli (257).

Molte volte infatti si opta per la guerra, giustificandola con presunte finalità umanitarie, difensive o preventive. Ma in realtà la guerra non è mai una soluzione e non ha senso parlare di “guerra giusta” quando conosciamo l’enorme potere distruttivo delle armi oggi utilizzate che colpiscono soprattutto i civili innocenti (258).


Alla fine della guerra fredda non è seguito un reale progetto di pace, per la mancanza di una visione del futuro, e viviamo ormai in un tempo in cui è perennemente in corso una “guerra mondiale a pezzi” (259-269).

Ogni guerra è “un fallimento della politica e dell’umanità” e lascia sempre “il mondo peggiore di come lo ha trovato”. Solo guardando alle vittime possiamo farne un vero bilancio: i profughi, chi ha subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, le donne che hanno perso i figli, i bambini mutilati... Ecco l’abuso del male provocato da ogni guerra! (261).

La pace tra i popoli non può essere fondata sulla paura, “sulla minaccia reciproca della distruzione”, ma sul dialogo orientato verso il bene comune. Se si usassero a tal fine le spese per gli armamenti, si eliminerebbe la fame nel mondo e, collaborando tutti per lo sviluppo dei popoli, fermeremmo il disperato quotidiano flusso migratorio (262).

La pena di morte
La pena non può essere intesa in modo vendicativo o crudele ma deve tendere sempre ad attuare un processo di guarigione e di inserimento sociale. La pena di morte, che elimina definitivamente l’altro, non risponde a queste finalità, e dovrebbe essere abolita in tutto il mondo (263-266).

Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti: dalla possibilità di un errore giudiziario all’uso che se ne fa nei regimi totalitari (268).
Ma anche l’ergastolo è una pena di morte camuffata (ib.).

Ricordando che Dio stesso si è fatto garante dell’omicida proteggendolo, possiamo anche noi “riconoscere l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto in questo mondo” (269).

Continua ... 10 luglio, Religioni e fraternità

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