Dialogo e amicizia sociale



Il segreto per costruire una società migliore sta nel dialogo con gli altri. Esso è così definito da papa Francesco nel sesto capitolo di Fratelli tutti: “Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto” (198). 


E’ un crescendo di atteggiamenti di attenzione e di fiducia nell’altro, dai quali scaturisce una nuova cultura, che attraversa tutte le generazioni e tutte le dimensioni della vita sociale e popolare (199). 


Il dialogo non è un semplice scambio di opinioni, spesso affidato all’uso dei media, e che si riduce molte volte a un monologo opportunistico e aggressivo (200), dove predomina “l’abitudine di screditare l’avversario” non solo in campo politico ma a tutti i livelli (201).


Quando manca il dialogo, nessuno si preoccuperà del bene comune. L’unico obiettivo sarà quello “di imporre il proprio modo di pensare” (202).


Il dialogo autentico infatti è fondato sulla ricerca della verità, “al di là degli interessi personali” (ib.); richiede il rispetto del punto di vista dell’altro, la comprensione del suo significato, anche quando non lo si condivide, la convinzione che nel dialogo ci si arricchisce reciprocamente (203). 


Per questo è preziosa “la comunicazione tra le discipline” che valorizza, accanto all’apporto del contributo scientifico, anche il “lavoro di altre scienze e di altri saperi” (204).


La ricerca e il rispetto della verità è la condizione indispensabile per un dialogo tra le culture e i popoli, ed esige il superamento del relativismo e il riconoscimento di principi universalmente e perennemente validi, mai negoziabili, quali “fondamenti solidi che stanno alla base delle nostre scelte e delle nostre leggi” (206-208).



I diritti umani fondamentali, come la dignità di ogni essere umano, non possono essere subordinati alla volontà del potente di turno che, raggiunto il potere, si sente autorizzato a negarli e a calpestarli, in nome di una presunta verità (209-2013).


Su questa base sarà possibile costruire una società in cui, come in un poliedro, “le differenze convivono, integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda” (215) a partire dalla consapevolezza che da tutti si può imparare qualcosa, anche dalle periferie, dalla cui prospettiva emergono “aspetti della realtà che non si riconoscono dai centri di potere” (ib.).


Creare una nuova “cultura dell’incontro” significa “gettare ponti” tra i popoli, appassionarsi all’incontro con gli altri, integrare realtà diverse, avviare processi di incontro: scelte preziose per costruire una pace sociale reale, solida, duratura, non fatta “a tavolino” (216-217).


Si tratta di processi laboriosi, non facili, che richiedono tempo e cuore, ma prima di tutto il riconoscimento dell’altro, con la sua identità e unicità (218). 


Senza rispetto delle persone e della giustizia, si genera solo violenza, specie quando “una parte della società pretende di godere di tutto ciò che il mondo offre, come se i poveri non esistessero” (219), o quando si esprime intolleranza e disprezzo per le culture popolari indigene, pensando che solo la nostra idea di progresso sia valida (220).



Da questo quadro così impegnativo e oneroso per tutti, emerge una parola conclusiva che, forse proprio per la sua semplicità, diventa potente ed efficace: è la parola “gentilezza”. Basta a volte, infatti, solo un po’ di gentilezza, per trasformare gli stili di vita, i rapporti sociali, il modo di confrontare le idee.

Con un po’ di gentilezza, non vedrò più l’altro come un fastidio o un ostacolo alla mia tranquillità, ma imparerò a incoraggiarlo, a consolarlo, ad alleviare il suo peso (223-224).


A volte basta solo un sorriso, uno sguardo, una parola, un’attenzione… (224).

Le persone che esercitano la gentilezza “diventano stelle in mezzo all’oscurità” (222). 


Continua ... 3 luglio, Percorsi di un nuovo incontro

Commenti

  1. Quando ero piccola mia nonna mi aveva insegnato una filastrocca che più o meno recitava così:” ci vuole così poco a farsi voler bene, una parola buona quando conviene, un po’ di gentilezza ,una semplice carezza, un sorriso che ci baleni in viso.....” Le tue parole mi hanno aperto questo cassetto della memoria che non voglio più chiudere.
    L’ascolto e uno sguardo empatico ,penso ,che a volte siano più efficace di tanti discorsi. Dobbiamo essere più coraggiosi e meno diffidenti verso gli altri . Una delle prime cose che mi ha tanto colpito di Papà Francesco è l’invito a saper chiedere scusa, se aggiungiamo la parola gentilezza avremo fatto un grande passo avanti.

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