Un cuore aperto al mondo intero

 


Per pensare e generare un mondo aperto bisogna innanzitutto generare in se stessi un cuore nuovo, che sia spalancato al mondo intero e alle sue grandi sfide.


La prima sfida, tra le più urgenti, è quella delle migrazioni che, come dice papa Francesco, sarebbe meglio se non esistesse. Basterebbe infatti “creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità” (129). 


E’ chiaro a tutti quanto sia estesa la diffusione di questo dramma nel mondo intero e che la disperazione di cui il Mediterraneo è testimone ne rappresenti solo un aspetto.


Penso che basterebbero l’intelligenza e il buon senso per capire l’urgenza di questa priorità suggerita dal Papa, una priorità che in definitiva sarebbe l’unica soluzione sensata e ragionevole percorribile, al di là della quale rimarrebbe l’alternativa dell’abbandono di migliaia di persone al loro destino o l’impossibilità a lungo andare di accogliere tutti.


Ma fino a quando questa condizione non si realizza, aggiunge papa Francesco, e tanti disperati bussano alle nostre porte, bisogna necessariamente “accogliere, proteggere, promuovere, integrare” coloro che vedono minacciata ogni giorno la loro stessa vita (ib.).




In particolare, pensando a chi fugge da gravi crisi umanitarie, il Papa stila un programma preciso di intervento che si articola in 12 punti:


“incrementare e semplificare la concessione di visti; 


adottare programmi di patrocinio privato e comunitario; 


aprire corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili; 


offrire un alloggio adeguato e decoroso; 


garantire la sicurezza personale e l’accesso ai servizi essenziali; 


assicurare un’adeguata assistenza consolare, il diritto ad avere sempre con sé i documenti personali di identità, un accesso imparziale alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari e la garanzia del necessario per la sussistenza vitale; 


dare loro libertà di movimento e possibilità di lavorare; 


proteggere i minorenni e assicurare ad essi l’accesso regolare all’educazione;


prevedere programmi di custodia temporanea o di accoglienza;


garantire la libertà religiosa; 


promuovere il loro inserimento sociale; 


favorire il ricongiungimento familiare e preparare le comunità locali ai processi di integrazione” (130). 


In fin dei conti, è solo il minimo indispensabile che dovrebbe essere garantito a ogni essere umano perché sia rivestito di dignità.


Non viene taciuta, inoltre, dal Papa la necessità del riconoscimento della piena cittadinanza per coloro che da tempo vivono ben integrati nei paesi di accoglienza (131) e l’urgenza di una legislazione globale per le migrazioni che coinvolga l’intera Comunità internazionale (132).




Se si riuscisse a capire che l’incontro tra le varie culture rappresenta una grande opportunità di arricchimento reciproco, non si cadrebbe nell’errore di considerare le diversità come un pericolo per la propria identità (133-134). 


In proposito papa Francesco porta come esempio quanto è avvenuto nella sua terra di origine, l’Argentina, segnata da una forte immigrazione italiana e dalla presenza di duecentomila ebrei, popolazioni che hanno trasformato profondamente la cultura del luogo (135).


Anche dall’incontro tra popoli dell’Oriente e dell’Occidente può scaturire un arricchimento reciproco, valorizzando gli uni le potenzialità tecniche, scientifiche e culturali dell’occidente, gli altri i rimedi orientali per alcune malattie spirituali causate dal materialismo (136).


Un principio guida che ritorna sistematicamente nei discorsi di papa Francesco è che “o ci salviamo tutti o nessuno si salva” e che il benessere e lo sviluppo dei popoli torna a vantaggio di tutto il pianeta (137-138). La povertà, la miseria, il degrado di tanti popoli finiscono infatti “per impoverirci tutti” (137).


Tuttavia, al di là di queste motivazioni che potrebbero sembrare utilitaristiche, dobbiamo riscoprire la bellezza della gratuità dell’accoglienza, proprio nei confronti di coloro che non hanno nulla da restituirci in cambio, come fa Dio con noi che ci dona tutto gratis (139-140). 



Ci sono Paesi invece, sottolinea ironicamente papa Francesco, che accolgono “solo scienziati e investitori” (139). Altri Paesi, radicati nei loro nazionalismi chiusi, vedono gli immigrati come degli usurpatori pericolosi e inutili (141).

Solo la gratuità può dare un futuro alla nostra umanità! (Ib.).


Ma come vincere la tentazione di chiudersi dentro i propri confini limitati o di perdersi nell’universalismo astratto della globalizzazione? La risposta di papa Francesco è come sempre semplice e lineare: bisogna unire universale e locale; “guardare al globale che ci riscatta dalla meschinità casalinga” (142).

Il globale ci indica “la causa finale che ci attira verso la pienezza”; il locale è il lievito che ci arricchisce (Ib.).


Non posso accogliere chi è diverso da me se non “sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura”, se non affondo “le radici nella terra fertile e nella storia” del mio popolo (144-145). 



Se mi fermassi però a questo attaccamento, rischierei di cadere nel narcisismo localistico, nella chiusura, nella staticità; potrei costruire attorno a me mura difensive e non conoscerei mai la bellezza e la ricchezza del mondo intero (146).

Una sana apertura agli altri, mai in contrasto con la propria identità culturale, è fonte di arricchimento e scoperta di appartenenza a una famiglia più grande (148-149). 


Questo vale per tutti: sia nelle relazioni tra i diversi Paesi, sia nelle relazioni tra le famiglie del vicinato, del quartiere, dove è possibile sperimentare rapporti di prossimità, gratuità, solidarietà, reciprocità (152).


Continua ... 29 maggio, La migliore politica 1

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