La migliore politica 1

Il quinto capitolo dell’enciclica Fratelli tutti tratta della necessità di una buona politica che si ponga a servizio del bene comune.

Al di là di ogni retorica, papa Francesco non nasconde la consapevolezza della dura realtà: oggi la politica è più di ostacolo che di aiuto al perseguimento di questo fine (154).

Si affretta quindi ad elencare i difetti della cattiva politica, (nn. 155-175) per poi delineare i tratti di una politica che sia davvero a servizio di un mondo nuovo (nn. 176-197). 

Per rispettare la leggerezza che caratterizza il blog, i due aspetti dell’argomento saranno trattati in due post distinti.


Quali dunque i malesseri di cui soffre oggi la politica? Sono due i più insidiosi: il populismo da una parte, il liberismo economico dall’altra.



Il
populismo è una maschera di cui si servono molti politici per raggiungere i loro fini e difendere i loro interessi. Con molta abilità essi strumentalizzano politicamente il popolo (159), ponendolo a servizio della loro permanenza al potere. 


In realtà essi “deformano la parola popolo”, non colgono la concretezza del suo significato; non si relazionano al popolo come ad un soggetto vivo e dinamico, aperto al futuro, ma lo considerano astrattamente, come se fosse una realtà “mistica” (158). 


Non sanno cosa significhi “appartenenza” a un popolo, e cioè condivisione di “legami sociali e culturali” che si sono costruiti attraverso un lungo processo nel corso della storia (158-160).


Il loro obiettivo è solo quello “di garantirsi voti o appoggio”, senza impegnarsi poi ad assicurare “alle persone le risorse per il loro sviluppo” (161). 


Non si tratta di intervenire attraverso piani assistenziali, che potrebbero essere solo delle “risposte provvisorie” (ib.). Bisognerebbe puntare piuttosto sul lavoro, fondamentale non solo per “guadagnarsi il pane” ma anche in quanto mezzo di promozione della persona: “Il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale … un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere se stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili del miglioramento del mondo, per vivere come popolo” (162).



Anche il
liberismo economico, basato su una visione individualistica della società, rifiuta la vera concezione di popolo, considerato piuttosto come “una mera somma di interessi che coesistono” (163). 


“Il pericolo maggiore - precisa il Papa - non sta nelle cose, nelle realtà materiali, ma nel modo in cui le persone le utilizzano” (166). La tendenza all’egoismo, il chiudersi nel proprio io, nel proprio benessere, nei propri interessi meschini: è questo che offende e distrugge il popolo (ib.). 


Il mercato, che rappresenta un dogma della cultura neoliberale, in realtà da solo non risolve tutti i problemi, ma genera inequità che è fonte di molte forme di violenza (168). La pandemia l’ha evidenziato in modo drammatico. 


Bisognerebbe superare i limiti del pensiero neoliberale “povero e ripetitivo” e aprirsi a nuove prospettive che garantiscano “uno sviluppo umano integrale” valorizzando i nuovi movimenti popolari che in varie parti del mondo nascono dal coinvolgimento degli esclusi e sono “seminatori di cambiamento” (169).


Al contrario, il liberismo resta legato a vecchi schemi ripetitivi che peggiorano le condizioni di vita dei più poveri. Neppure la crisi finanziaria del 2007/2008 è servita alla creazione di una nuova economia, più etica e solidale (170).


La legittimità del benessere, non giustifica che sia calpestata la dignità di molti individui e popoli (171). 



E’ urgente che siano riformate le istituzioni internazionali, a cominciare dall’ONU, così come la finanza internazionale, affinché si pongano a tutela del “bene comune mondiale”, sconfiggendo la fame e la miseria che dilagano nel mondo e garantendo i diritti umani fondamentali (172).


Continua ... 3 giugno, La migliore politica 2

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