Vivere nell'ombra


Un uomo, Joe Castlemann (Jonathan Pryce), arriva all’apice del successo, della notorietà, della fama, fino ad essere designato per uno dei riconoscimenti più ambiti: il premio Nobel per la letteratura. E improvvisamente Joan, la moglie, dopo quarant’anni, decide di non tollerare più che il marito si appropri della paternità dei suoi scritti e di troncare il proseguimento di quella farsa grottesca. Nessuna, infatti, delle opere a lui attribuite gli appartiene. Tutta la sua produzione letteraria, che ha suscitato attorno a lui schiere di ammiratori, è frutto del genio creativo della moglie che ha vissuto la sua intera esistenza nell’ombra. 

E’ questo, in sintesi, il tema su cui è tessuta la trama del film di Bjorn Runge, The wife - Vivere nell’ombra, mandato in onda nei giorni scorsi su Rai Movie e fruibile su RaiPlay.


Sembra una storia inverosimile e incredibile,  eppure nella realtà credo siano molte le donne che l’hanno vissuta e che la vivono, o perché animate da un’idea distorta dell’amore fondato sul proprio annientamento e sull’affermazione della persona amata, o perché vittime di una società che impone alla donna solo ruoli subordinati a quelli dell’uomo o circoscritti nell'ambito domestico. 


In famiglia, nei luoghi di lavoro, nella politica, nelle università, nella stessa chiesa sono molte le donne dotate di talenti di indubbio valore, che vivono nell’ombra, perennemente usate, sfruttate, dominate, i cui meriti non vengono mai riconosciuti  ufficialmente ma di cui ci si serve per favorire il successo di uomini che vogliono fare carriera e raggiungere posti di potere. Negli ambiti ecclesiali, in particolare, una cattiva interpretazione della cultura del nascondimento e dell’umiltà favorisce spesso tutto questo. 


La storia di questo film, prodotto nel 2017, ispirato al romanzo della scrittrice Meg Wolitzer, mi ricorda quella della pittrice statunitense Margaret Keane, famosa per i suoi soggetti (donne, bambini, animali) dagli occhi enormi, che ha subito il furto artistico da parte del marito, Wakter Keane, contro il quale vince la causa alla fine degli anni 80. Il film Big Eyes di Tim Burton del 2014 ne racconta le vicende.




Ma sicuramente fatti come questi si sono ripetuti molte volte nel corso della storia, anche se ambientati in altri tipi di contesti e con sfaccettature diverse.


Quello che colpisce nella storia del film è la folle e assoluta abnegazione di questa donna, sempre molto elegante e signorile anche nei momenti di più profondo turbamento; la sua determinazione nel continuare ad amare quest’uomo nonostante tutto, persino i tradimenti, fino alla fine; la protezione dell' “immagine” del marito davanti alle domande indagatrici del figlio e alle insistenti e subdole domande di un giornalista che nutre dei fondati sospetti sull'autenticità delle sue opere e fa di tutto per far venire a galla la verità. 



Ma ancora più inquietante è l’atteggiamento di Joe dal quale non trapela mai il minimo imbarazzo nell’accogliere apprezzamenti, riconoscimenti, applausi, e che è talmente abituato al ruolo interpretato da credere realmente che corrisponda alla sua identità, arrivando addirittura alla freddezza di affermare in pubblico "Mia moglie non scrive!" ma anche di elogiarla riconoscendola come sua musa ispiratrice, sostegno della sua vita, compagna indispensabile nella sua brillante carriera.


La conclusione della vicenda, di cui non svelo i dettagli, apre tuttavia uno spiraglio di luce nell’oscurità di così gravi bugie e compromessi. Perché a vincere alla fine sarà la verità e l’emancipazione della donna.

E’ proprio vero che non è mai troppo tardi per ravvedersi e dare una svolta decisiva alla propria vita! Spero che questo film faccia riflettere uomini e donne sulle dinamiche delle loro relazioni e contribuisca a un cambiamento radicale della nostra cultura. 


Commenti

  1. Le tue osservazioni hanno innestato una “ reazione a catena”...Mi sono venuti in mente esempi di donne legate al mondo della scienza che hanno faticato molto per affermare le proprie idee e spesso le hanno dovute sacrificate per pregiudizi o per il bene della famiglia.
    Ho scritto reazione a catena perché una di queste è Lise Meitner ,austriaca ,con un dottorato in fisica nel 1905, l’anno in cui Einstein scriveva i suoi fondamentali articoli.Le sue intuizioni sono state determinanti per la spiegazione del processo di fissione nucleare, termine coniato dalla stessa Meitner e dal nipote Otto Frisch.La sua carriera universitaria fu molto travagliata , all’inizio mentre il collega. Otto Hahn con il quale aveva pubblicato importanti lavori aveva libero accesso ai laboratori , lei svolgeva le sue ricerche negli scantinati , dove nessuno la poteva vedere.Dopo la prima guerra mondiale la posizione delle donne negli atenei tedeschi migliorò, ma Lise in quanto ebrea a causa delle leggi razziali ,fu costretta a fuggire in Svezia.Alla Meitner , dopo pochi mesi dalla sua fuga, si rivolsero Hahn e il collega Strassmann perché non riuscivano a spiegarsi uno strano fenomeno : un atomo grande si trasformava in uno piccolo.Dopo alcune settimane Lisa capi’ .L’uranio poteva essere scisso in bario e cripto....era il principio della fissione nucleare.Peccato che nel 1944 ad Otto Hahn fu assegnato il premio Nobel per la chimica e Lisa non fu neanche nominata!
    E che dire di Mileva Maric’ la prima moglie di Einstein e madre dei suoi figli.
    Brillante studentessa di matematica. Conobbe Einstein al Politecnico di Zurigo che sposò nel 1903. Per seguire l’educazione dei figli lasciò la ricerca , ma alcuni studiosi ipotizzano che nei lavori di Einstein pubblicati nel 1905 ci fosse la sua mano. E dopo la separazione da Mileva Einstein ricorse all’aiuto di esperti di matematica.
    Concludo lasciando il mondo che più mi appartiene per ricordare un piccolo libro che ho amato molto.Creatura di sabbia di Tahar Ben Jelloun.
    È la storia di Mohammad o meglio dell’ultima figlia, dopo sette femmine , di una coppia marocchina.Il padre alla sua nascita la presenta al mondo come l’attesissimo erede maschio.Alla bimba verrà insegnato a negare il suo corpo, a modificare la voce, a comandare sulle donne della sua famiglia.
    L’intreccio del romanzo è complesso, ma la scrittura molto poetica .La storia si dipana come una favola orientale, ma nonostante la splendida scrittura di cui il lettore resta affascinato non si può provare pena per il /la protagonista e la sua inevitabile e assoluta solitudine.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Riciclo solidale

Tre anni fa

Solo canzonette?