Non abbandonarci alla tentazione!

Chi partecipa con una certa regolarità alla celebrazione eucaristica avrà notato ultimamente delle novità in alcune espressioni pronunciate dal celebrante e dai fedeli.

Qualcuno avrà pensato alla stravaganza di qualche prete che a tutti i costi vuole essere originale e vuole stupire i suoi ascoltatori. Niente di tutto questo.


Si tratta piuttosto delle novità contenute nel nuovo Messale che già in molte parrocchie è stato adottato sin dall’inizio dell’Avvento (29 novembre) sebbene il suo uso sarà obbligatorio a partire dalla prossima Pasqua (4 aprile).


Per la maggior parte, le innovazioni riguardano le formule pronunciare dal celebrante, che non sfuggono tuttavia a un ascoltatore attento.


Quelle che coinvolgono l’assemblea sono poche, proprio per non creare eccessivo disorientamento nel popolo di Dio.




Queste le variazioni più significative.


Nell’atto penitenziale, all’inizio della Messa, è stato incluso due volte il termine “sorelle”:

“Confesso a Dio Onnipotente e a voi fratelli e sorelle….”. 

E così anche alla sua conclusione: 

“E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli e sorelle…”.


Del “Signore, pietà” è stata preferita la versione in greco: “Kyrie, eléison; Christe, eléison”.


Nel “Gloria”, l’espressione “Pace in terra agli uomini, amati dal Signore” prende il posto di “… agli uomini di buona volontà”. 


Il testo del Padre nostro è quello della nuova traduzione nella Bibbia  della CEI del 2008, che contiene due variazioni.

La prima consiste nell’aggiunta di un “anche” riportato anche nel testo greco originale: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo …”.

La seconda cambia il “non ci indurre in tentazione” in “non abbandonarci alla tentazione”, più in linea con il contenuto dell’intera preghiera e del contesto evangelico. 


Lo scambio della pace è preceduto dall’esortazione: “Scambiatevi il dono della pace” al posto di “un segno di pace”.


Prima della Comunione il sacerdote dice: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello” invertendo il precedente ordine delle due espressioni e sostituendo le parole "alla cena del Signore" con "alla cena dell'Agnello". 



Sono tutti ritocchi che non cambiano sostanzialmente il testo liturgico, ad eccezione del Padre nostro.

La nuova espressione “Non abbandonarci alla tentazione” prende il posto della precedente “non ci indurre in tentazione”, che per lungo tempo abbiamo pronunciato sicuramente con qualche perplessità perché non esprime adeguatamente l’idea di Dio che Gesù rivela nella sua predicazione. 


Alla traduzione letterale, si è preferita dunque una traduzione ad sensum che rende meglio il significato del testo.


Secondo gli esegeti, infatti, il  verbo “indurre” in italiano non ha lo stesso identico significato che ha in greco e il latino. Nella nostra lingua avrebbe un valore più costrittivo, mentre in greco e in latino avrebbe un significato più concessivo, come dire “non consentire che cadiamo nella tentazione”.


Una seconda interpretazione sposterebbe l’attenzione sulla parola  “tentazione” piuttosto che sul verbo “indurre”, in quanto in greco il termine corrispondente ha due significati: tentazione e prova. 

Il significato dell’espressione potrebbe dunque essere: “Non ci indurre nella prova, ma liberaci dal Maligno”.

Dunque, così come Gesù pregava nell’orto degli ulivi dicendo “Padre, se puoi allontana da me questo calice”, noi  chiediamo al Signore  “risparmiarci l’esperienza della prova”. 


Un’ultima considerazione vorrei esprimere sul segno della pace che il nuovo testo liturgico valorizza sostituendo il termine “gesto” con la parola “dono”. Non è infatti il gesto in sé che manifesta il contenuto della pace, quanto il dono che riusciamo a fare agli altri anche solo con un sorriso o uno sguardo sinceri. Quanti gesti vuoti, pure formalità, spesso esprimiamo senza coinvolgere minimamente il nostro cuore e la nostra vita! 


Il Comunicato finale dell’ultimo Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana (26 gennaio) dichiara di ripristinare, a partire da domenica 14 febbraio, “un gesto con il quale ci si scambia il dono della pace”. 

Non ritenendo opportuno, in tempo di COVID, sostituire la stretta di mano o l’abbraccio con il toccarsi con i gomiti, si suggerisce che «può essere sufficiente e più significativo guardarsi negli occhi e augurarsi il dono della pace, accompagnandolo con un semplice inchino del capo».

Un gesto, a mio avviso molto più significativo del precedente, che potrebbe essere mantenuto anche in futuro, quando sarà superata la pandemia, per garantire permanentemente il rispetto di una maggiore igiene. 


Sembra strano che si sia atteso un anno, prima di suggerire questo nuovo orientamento. Sicuramente non si sospettavano tempi di distanziamento così dilatati e si pensava che si sarebbe ritornati velocemente alla normalità. 

Ma ciò che sembra ancora più strano è il fatto che non sia scaturita spontaneamente dagli stessi fedeli l’esigenza di guardarsi negli occhi e di sorridersi per scambiarsi il dono della pace e della vicinanza! Forse perché, per poterlo esprimere questo dono, dovremmo prima concepirlo nel nostro cuore.


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