Rimanete in me!


Giovanni 15,1-8

Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. 
Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, 
e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 
Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 
Rimanete in me e io in voi. 
Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, 
così neanche voi se non rimanete in me. 
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, 
perché senza di me non potete far nulla. 
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; 
poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, 
chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 
In questo è glorificato il Padre mio: 
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 


La parola chiave di questo brano evangelico è il verbo “rimanere” che ricorre in questi pochi versetti ben 5 volte. E il contesto in cui il verbo si coniuga è Cristo stesso che si identifica nella "vite vera" di cui il Padre suo è l’agricoltore: un'altra suggestiva immagine naturalistica, come quella di domenica scorsa.

La vite ha rami rigogliosi, ma anche rami da potare e rami secchi da tagliare e gettare via.


Ci possiamo tutti riconoscere tra questi rami, passando in rassegna la nostra vita.
Non basta infatti “rimanere” attaccati alla vite. Bisogna vedere anche in quale stato. Si può infatti rimanere nella vigna come rami rinsecchiti, aridi, senza linfa, come cadaveri imbalsamati. A che serve? A nulla! Meglio essere gettati nel fuoco e scomparire...

Quante situazioni familiari in crisi, dove tutto pesa e si sopporta malvolentieri! Dove ci si evita, ci si nasconde gli uni agli altri, ci si mente e ci si tradisce, dove la violenza verbale e fisica prende il posto dell'amore.

Quante comunità religiose e quante comunità parrocchiali costruite su pure formalità, ipocrisie, silenzi, estraneità, con una convivenza quotidiana fatta di giudizi, condanne, critiche, calunnie, rivalità, invidie, gelosie ...

Si sta insieme molte volte come separati in casa, solo per salvare le apparenze, solo per non creare scandali, solo perché in fondo fa comodo prolungare una condizione di vita statica, anche se arida e sterile, pur di non subire uno scossone che disturberebbe una finta quiete ormai consolidata.


Non è questo il rimanere di cui parla Gesù nel Vangelo. È tutta un’altra storia! 
È sentire circolare la vita nelle proprie membra e in quelle di chi ti vive accanto. È toccare con mano la forza di un vincolo che affonda le sue radici nell’amore di Dio e comunica gioia, intesa, comunione.

È vedere ogni parola del Vangelo rispecchiarsi nei volti, negli sguardi, nei sentimenti, nei comportamenti di chi condivide la stessa vita.

“Rimanete nel mio amore” dice infatti Gesù! È il suo amore che trasforma e consolida le relazioni. Senza l’apertura al suo amore non si può portare frutto: "Senza di me non potete fare nulla!" (v. 5). 

Se la motivazione di fondo dello stare insieme non è il suo amore che genera vita, serenità, attenzione e donazione all'altro, ma è la ricerca del proprio interesse, il culto della propria immagine, la smania del successo, del possesso e della gloria, la pretesa di riconoscimenti e di applausi ... il frutto che si raccoglierà sarà solo un mucchio di foglie secche e inaridite. 

E non possono essere certo questi i frutti che fioriscono e maturano sulla "vera vite"! Saranno piuttosto gli effetti prodotti da una convivenza costruita sull’amor proprio. E l’amor proprio non ha un futuro, una discendenza, un avvenire... Si chiude su se stesso e muore.


Gesù risorto lascerà questa terra, si allontanerà dai suoi discepoli, tornerà dal Padre suo, ma lascia a tutti coloro che credono in lui una preziosa eredità: la possibilità di rimanere attaccati alla sua stessa vita, di essere nutriti della sua linfa di comunione che lo lega al Padre, di diffondere nel mondo i segni della sua presenza che sono sempre segni di amore, di pace, di comunione, di solidarietà.


Commenti

  1. Bellissima ed evocativa l'immagine finale che ai scelto per il commento al Vangelo di domenica. Le mani ,come tronchi di alberi, aperte verso l'alto dalle quali escono tante mani colorate mi ha fatto pensare, non ti saprei dire perché, al Signore ( le mani aperte) che ci ama, ci guarda, ci educa con la sua Parola e poi ci " lancia" nel mondo per diffondere i Suoi insegnamenti, ognuno con il proprio colore .

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    1. Molto suggestiva la tua interpretazione della foto! Arricchisce l’interpretazione del brano evangelico che vuole invitarci proprio a questo: a lasciarci plasmare dalla Parola di Dio e a spargerla nel mondo, insieme al dono di noi stessi. Grazie!

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  2. Ho letto con vero piacere il commento al Vangelo di domenica.
    Condivido il tuo pensiero; la solidarietà, il sorriso, la disponibilità verso gli altri e soprattutto la voglia di partecipare alla vita delle persone è sempre stato per me molto importante e penso che sia il modo migliore per affrontare la vita.

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    1. Carissima Sara, benvenuta nel blog Ricomincio! Mi fa molto piacere condividere con te le mie riflessioni e quelle degli altri lettori, e arricchirmi delle tue. Quando ho concepito questo blog l’ho pensato sin dall’inizio come uno spazio di dialogo e di scambio di doni reciproco. Ed è proprio così che si sta realizzando, grazie al contributo di tanti validi e cari lettori.
      Il messaggio del Vangelo di domenica prossima è molto impegnativo, soprattutto perché parla di “frutti”.
      Queste parole di incoraggiamento all’apertura agli altri, che vengono da te e dalla tua lunga esperienza di vita, mi confermano nel credere che tutto è possibile quando si abbandonano egoismi e particolarismi e ci si lascia guidare e trasformare dalla Parola di Dio che allarga il nostro cuore e le nostre vedute.
      Sicuramente questa tua disponibilità verso gli altri ti ha consentito di raccogliere tanti buoni frutti!
      Grazie ancora del tuo contributo e a presto!

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  3. Quando, raramente, leggo il vangelo o partecipo, per necessità o per slancio occasionale, alle liturgie o quando prego, io, misera mortale arrugginita dalla routine quotidiana e abitualmente sorda alla chiamata di Dio e, perciò, non annoverata nel gregge degli eletti, passo da un’intensa contemplazione ascetica a una cruda presa di coscienza dei miei gravi e perpetrati comportamenti egoistici e a un profondo pentimento per essi, fino a giungere a una grande desolazione per sentirmi indegna e inadeguata per la vita in Dio; in altri termini, da questi contesti esco sempre sconfitta e con la sensazione che per vivere e rimanere in Dio dovrei diventare "santa" e che quindi non ci riuscirei mai.
    Se fosse, invece, possibile, come ho sempre creduto, identificare il “vivere e rimanere in Dio”, con il condurre onestamente la nostra vita, di per sé stessa non del tutto facile, anzi perigliosa, e con il prodigarci nel dare il meglio di noi stessi in ogni occasione che si presenti, allora ci si troverebbe davanti a fatti e non parole, alla storia contemporanea fatta da noi, da ognuno di noi e non all’apologia della storia.
    E’ questo l’approccio che mi ha sempre calzato di più e che mi ha fatto crescere.

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    1. Forse a volte ci creiamo un’idea distorta di santità e di rapporto con Dio. Anche i santi sono peccatori e riconoscerci tali, davanti alle parole esigenti del Vangelo, è una cosa normale che non deve creare angoscia e desolazione, ma affidamento all’amore di Dio che tutti conosce e tutti accoglie! Dio è sempre più grande del nostro cuore, e non considera mai nessuno indegno o inadeguato a stabilire una relazione di dialogo e di amicizia con lui.
      Inoltre penso che l'incontro e il dialogo con Dio è sempre un fatto personale. Non ci sono cliché prestabiliti. Ogni approccio quindi è non solo legittimo ma valido e prezioso, se vissuto nella sincerità del cuore e nella concretezza della propria esistenza, luogo privilegiato in cui Dio si rivela e comunica con l'uomo.

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