Vivrai in eterno!



Giovanni 6, 41-51

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto:
«Io sono il pane disceso dal cielo». 
E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? 
Di lui non conosciamo il padre e la madre? 
Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, 
se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 
Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. 
Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 
Non perché qualcuno abbia visto il Padre; 
solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 
In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. 
I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 
questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. 
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno 
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».



Commento al Vangelo di Ermes Ronchi

Un Vangelo di soli otto versetti, e Gesù a ripetere per otto volte: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Quasi un ritmo incantatorio, una divina monotonia, nello stile di Giovanni che avanza per cerchi concentrici e ascendenti, come una spirale; come un sasso che getti nell'acqua e vedi i cerchi delle onde che si allargano sempre più. Per otto volte, Gesù insiste sul perché mangiare la sua carne: per semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è solo sopravvivere. È l'incalzante certezza da parte di Gesù di possedere il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita.



Chi mangia la mia carne ha la vita eterna. Con il verbo al presente: “ha”, non “avrà”. La vita eterna è una vita libera e autentica, giusta, che si rialza e non si arrende, che fa cose che meritano di non morire. Una vita come quella di Gesù, capace di amare come nessuno. Sangue e carne è parola che indica la piena umanità di Gesù, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, i suoi abbracci, i piedi intrisi di nardo e la casa che si riempie di profumo e di amicizia. E qui c'è una sorpresa, una cosa imprevedibile. Gesù non dice: prendete su di voi la mia sapienza, mangiate la mia santità, il sublime che è in me. Dice, invece: prendete la mia umanità, il mio modo di abitare la terra e di vivere le relazioni come lievito delle vostre. Nutritevi del mio modo di essere umano, come un bimbo che è ancora nel grembo della madre si nutre del suo sangue.


Gesù non sta parlando del sacramento dell'Eucaristia, ma del sacramento della sua esistenza: mangiate e bevete ogni goccia e ogni fibra di me. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui. Si è fatto uomo per questo, perché l'uomo si faccia come Dio. Allora mangiare e bere Cristo significa prenderlo come misura, lievito, energia. Non “andare a fare la Comunione” ma “farci noi sacramento di comunione”. Allora il movimento fondamentale non è il nostro andare fino a lui, è invece Lui che viene fino a noi. Lui in cammino, Lui che percorre i cieli, Lui felice di vedermi arrivare, che mi dice: sono contento che tu sia qui. Io posso solo accoglierlo stupito. Prima che io dica: “ho fame”, ha detto: “Prendete e mangiate”, mi ha cercato, mi ha atteso e si dona.


Prendete, mangiate! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d'amore: “io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita”.

(Avvenire, 17 agosto 2018)

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